Da una parte la città, dall’altra il villaggio. In mezzo, a separarli, foreste e montagne. A soli 50 chilometri dall’urbanizzazione metropolitana torinese, cinquecento persone hanno scelto di vivere secondo l’antica logica della tribù, tra i boschi. Ai piedi delle Alpi, sparse in un raggio di 15 chilometri tra Torino ed Aosta, dal 1975 esistono alcune comunità spirituali della Federazione di Damanhur. «Un laboratorio per il futuro dell’umanità», viene definito dai suoi «cittadini». Lo scopo dichiarato è quello di costruire un’ecosocietà, in cui il rapporto con la natura e la ricerca di valori profondi scandiscono la quotidianità degli abitanti. Sembra una realtà parallela, e forse è proprio di questo che si tratta. Negli anni Settanta, nel solco di un periodo dai forti cambiamenti culturali, Oberto Airaudi elabora il progetto e fonda Damanhur. Un personaggio discusso, su cui ancora oggi aleggiano molte ombre, ma che dopo la scomparsa avvenuta nel 2013 è quasi venerato dai cittadini della Federazione (Guarda il video).
Setta o comunità?
I templi nella roccia
In una giornata trascorsa nel cuore della Federazione le espressioni più utilizzate sono «ricerca spirituale», «meditazione», «esperienze», «riflessione», «arte». Spesso gli aderenti parlano di filosofia damanhuriana, e in essa sembrano confluire simboli pagani, riti ancestrali, figure mitologiche, rappresentazioni religiose. Questa inedita miscela è custodita dentro una montagna. Proprio così: a partire dalla fondazione della Federazione, per anni i primi partecipanti costruirono in gran segreto dei templi scavati nella roccia, oggi arrivati al numero di otto. Con tanto di ingressi nascosti e passaggi segreti, le sale - ognuna caratterizzata da suoni, odori e significati e collegate da cunicoli labirintici - rappresentano il fulcro del pensiero di Damanhur, dove si realizza l’apice del misticismo. Siamo a 70 metri sotto terra. Qui si svolgono i rituali, alcuni dei quali ancora sconosciuti, che gli accompagnatori liquidano spesso come «esperienze meditative». Muri di specchi, pareti decorate con scene di vita rituale, manufatti iconici, vetrate dai mille colori, sfere luminose, mosaici, statue di pietra. Nel profondo della roccia esiste oggi un mondo sconosciuto ai più che provoca fascinazione e inquietudine allo stesso tempo. «E’ il nostro lascito alla Storia, questi saranno i ritrovamenti per gli archeologi del futuro», afferma convinto l’accompagnatore Baris indicando le pitture murali in una delle sale.
Il volto pubblico
In superficie l’aria che si respira è diversa. A un paio di chilometri di distanza dai templi, Damanhur mostra il suo volto pubblico. Lo fa in un ex stabilimento della vecchia Olivetti, dove oltre ad avere insediato i propri uffici ha realizzato una vera e propria galleria commerciale, con tanto di minimarket, tavola calda, laboratori artigiani e negozi di lozioni e profumi. C’è persino una clinica, perché i damanhuriani si dicono «contrari all’accanimento terapeutico della medicina tradizionale, ma non contrari per le cure ordinarie».
Sebbene siano tutt’oggi visti con disappunto dagli abitanti dei piccoli paesi circostanti, i cittadini della Federazione hanno così deciso di aprirsi all’esterno, promuovendo il marchio «Damanhur» nel mondo. Ma il saluto alla Federazione lascia impressioni contrastanti. Come se dietro la volontà di far conoscere i progetti della comunità, ci sia ancora qualcosa di misterioso, tenuto ben nascosto dalla luce del sole.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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