Dato Ocse, l'Italia è al 30° posto nella classifica della felicità

Secondo una speciale classifica dell'Ocse i cittadini italiani sono solo al 30° posto come felicità. Possibile?

Dato Ocse, l'Italia è al 30° posto nella classifica della felicità

Secondo un rapporto dell'Ocse l'Italia è il secondo paese al mondo (a pari merito con il Giappone) come aspettativa di vita: 83 anni, contro una media di 80. Prima di noi è la Svizzera, ma non possiamo certo lamentarci. Lo stesso purtroppo non si può dire per la "felicità", che da qualche anno viene misurata (per valutare il benessere dei singoli Stati) tenendo conto di diversi parametri: il reddito, la casa (la grandezza dell'abitazione), l'ambiente, la sanità, la sicurezza e le relazioni sociali. A differenza nostra la Svizzera è prima anche nella speciale classifica del benessere (Better life index). Noi, invece, siamo solo al trentesimo posto.

Meglio piazzati Stati Uniti, Messico, Cile, Belgio, Francia, Spagna, Slovenia, Repubblica Ceca e Polonia e molti altri. Impressiona questo basso livello di soddisfazione nella vita ("life satisfaction"). Precediamo solo, Turchia, Grecia e Portogallo e Ungheria.

Se consideriamo come indicatore il denaro (che come recita un adagio "da solo non dà la felicità") il Belpaese non è messo male. Ogni famiglia ha entrate superiori alla media Ocse. E anche per quanto riguarda la ricchezza ce la passiamo bene: siamo al dodicesimo posto su 36. Più di due famiglie italiane su tre (68,4%) possiede un'abitazione, contro il 44,2% di quelle tedesche.
Ma bisogna tenere conto anche di un altro aspetto: il Messico, che pure risulta agli ultimi posti in moltissimi indicatori (in modo particolare per quanto riguarda scuola, sicurezza e reddito), a livello di soddisfazione generale è al decimo posto. Noi al trentesimo. Come si spiega questo enorme divario? Forse perché non sappiamo più accontentarci di ciò che abbiamo. Oppure perché sappiamo di essere un Paese potenzialmente al top a livello mondiale, ma per svariate ragioni non riusciamo a darsi la scossa necessaria a superare i problemi contingenti per riportarci in alto. E così, stancamente, ci limitiamo a vivacchiare, sperando (ma neanche troppo) in un futuro migliore. Ovviamente la colpa non è solo della politica.
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