Difendo il mito Buffon e il suo umano eccesso

Difendo il mito Buffon e il suo umano eccesso

Ebbene sì, difendo Buffon. Dagli anti-juventini ma anche dagli juventini, dai saccenti e dai formalisti, dai moviolisti, dagli ipocriti e dai colleghi che hanno fatto dell'odio bianconero una sorta di identità perennemente in contrapposizione, un po', mutatis mutandis dal leggero al tragico, come i carrieristi dell'antimafia secondo Sciascia. Difendo Buffon che con il suo sfogo sbracato dentro e fuori il campo dopo il rigore concesso al Real, ha fatto vendere copie, aumentato gli ascolti, animato i siti, alimentato la cattiveria dei social. Perché ha fatto bene all'anemia editoriale e giustificato per tante ore l'insussistenza di molti. Difendo Buffon l'Italiano e soprattutto la sua fragilità di uomo. Mi piace la passione che prende il sopravvento sulla forma, l'umanità che se ne infischia del Divino, l'Olimpo che scende a pianterreno, lo Zeus dei portieri, l'eroe nazionale, il campione mundial, lì che urla come un pazzo, che si fa espellere, che va davanti alle telecamere con la camicia aperta, la barba incolta, l'occhio chiaro spiritato e dice che l'arbitro ha un bidone dell'immondizia al posto del cuore e che, dài facciamola finita, alla fin fine non capisce un c.

La grammatica del bar come identificazione finale fra star e uomo comune. Difendo non Buffon lo juventino presuntuoso e incazzato, ma il grande portiere che al tramonto della carriera diventa umano, troppo umano. Rileggere Nietzsche, per i sopraffini. A proposito di palati delicati, ho visto oggi i profeti del fair play inorridire, i mass-mediologici ricorrere alla responsabilità dei modelli nella comunicazione sociale, gli esegeti delle regole del calcio parlare di oggettività dei gesti in area di rigore, come se la prossemica, l'agonismo, le geometrie, avessero la stessa oggettività della formula della relatività di Einstein. Rigore sì, rigore no, ma chissenefrega! Un po' come separare il vero dal falso nelle grandi storie d'amore. Lì c'è un uomo che sta per dare l'addio al calcio, come e quando non mi compete e qui non mi interessa. Soprattutto sta per dare l'addio a una Champions che non ha mai vinto e che stava per riprendere la via di Torino, intendo almeno le semifinali, dopo un 3 a 0 strepitoso in casa dei galattici, anche come costi e stipendi. Un 3 a 0 epico, che cancellava il 3 a 0 subito a Torino. Era il 93', a un lampo dai supplementari. Tutte scuse direte voi, le regole sono le regole, e i campioni proprio perché sono tali, le devono accettare per primi, e non fare risse come gli ultras o parlare davanti alle telecamere come scaricatori di porto. Anzi, proprio perché i giovani li amano e li seguono, devono dare piuttosto il buon esempio. Tutti ragionamenti giusti ma la razionalità non regge di fronte all'abisso, al vuoto che si apre improvvisamente davanti. È come se Sisifo dopo avere fatto la fatica di portare il masso in cima al monte, prima che il masso cada per essere riportato in cima all'infinito come prevede la punizione divina, non potesse godere un attimo della sua fatica. Rileggere Camus, per i sopraffini.

Ma torniamo sulla terra, anzi sul terreno di gioco. Le parole sono importanti, anche nella rabbia. Pochi hanno notato, anziché scervellarsi sul rigore, che Buffon usa il termine «sensibilità». Termine strano in una baruffa calcistica, termine rivelatore nell'angoscia esistenziale di Gigi. L'arbitro inglese ha mancato in un certo senso di tatto nei suoi confronti, cancellando, sul limite temporale estremo, l'impresa che poteva mettere un diamante su una carriera. E allora già che ci siamo, il rigore c'era? Un arbitro internazionale poteva non darlo? Ho visto e rivisto le immagini. Benatia colpisce la palla ma anche il giocatore spagnolo. Il rigore si può dare ma non è netto. Esiste come nelle leggi in tribunale, un margine di interpretazione, e l'interpretazione è tutta umana. È su questa frequenza che scatta la rabbia di Buffon. Un autorevole arbitro internazionale poteva decidere, al 93' della gara di ritorno dei quarti di finale con due grandi squadre in perfetta parità, di non dare quel rigore. Poteva espellere Benatia, e dare almeno a Buffon, in un'ultima sfida del destino, la possibilità di opporsi al Dio Ronaldo. Ma, e concludo, visto che da due settimane parliamo da provinciali dell'inferiorità del nostro sistema calcio rispetto a quello spagnolo fino ad arrivare a un senso di inferiorità globale e fino a dire ovviamente l'esatto contrario dopo le partite di ritorno, ricordiamoci invece in concreto che non contiamo un c (vedi Buffon) nelle istituzioni europee del calcio. Il destino ha voluto che in tribuna ci fosse Tajani.

La legge del Bernabeu esiste e non è solo l'incantesimo di un tempio straordinario del Pallone, è l'inchino schettiniano degli arbitri al Potere. Un contrappasso dantesco per la Juve accusata delle stesse cose in Italia? Ai posteri l'ardua sentenza, ai maliziosi dico che non sono juventino.

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