Due anni di fango per uscirne pulito: Gianluca Ius riparte dal calcio

L’imprenditore romano era finito nel calderone "Mafia Capitale" ma la sua posizione è stata archiviata. "L’inchiesta - spiega - ha fatto emergere un sistema articolato di corruzione noto purtroppo a tutti". E ora il manager pensa a far risorgere l’Ancona

Gianluca Ius insieme a Evans Kondogbia a e Enoch Baruah Balotelli
Gianluca Ius insieme a Evans Kondogbia a e Enoch Baruah Balotelli

È finito nel calderone di «Mafia Capitale» ma l’inchiesta non ha bloccato i suoi progetti. Gianluca Ius, manager romano, ne è uscito pulito e ora pensa al calcio. Ma guardandosi indietro, non può non commentare una carneficina politica e giudiziaria, che l’ha danneggiato per quattro anni. La sua via crucis è durata 48 mesi, durante i quali ha perso l’Ancona, il Foligno e molti affari delle sue aziende. È stato definito «faccendiere» prima e «cassiere», dopo, di Massimo Carminati. Ma le indagini serrate sul suo conto si sono rivelate un buco nell’acqua.

Ius la sua posizione è stata archiviata insieme a quella di altri 111 indagati. Cosa pensa di «Mafia Capitale» alla luce della sentenza?
Credo che il processo in questione sia in realtà non quello che hanno voluto far apparire, ma un fenomeno a cui noi italiani siamo abituati da sempre. Un sistema articolato di corruzione basato sulla connivenza tra politici e imprenditori. Lo conosce bene chi partecipa ad appalti per opere pubbliche. La corruzione è una realtà di un sistema sbagliato a cui un imprenditore deve sottostare se vuole continuare a fare impresa e a pagare gli stipendi ai propri dipendenti. Purtroppo, tutti sanno, che in un Paese come il nostro non si lavora se non ci si adegua o non si hanno amicizie.

Appunto, amicizie. Quali erano i suoi rapporti con Massimo Carminati?
Semplici rapporti di conoscenza. D’altronde a Roma, in particolare a Roma Nord, chi non aveva mai sentito parlare di lui? Venivamo entrambi dalla stessa zona e dallo stesso ambito politico.

Ma la conoscenza è un conto, il «cassiere», come lei è stato definito, è un altro. E dai fascioli risulta che lei abbia gestito una quantità spropositata di denaro. Non è così?
Denaro riconducibile al fatturato delle società che seguivo, collegate agli appalti di Finmeccanica. Parliamo di un fatturato superiore ai 70 milioni di euro.

Ius lei è stato definito dal suo legale, che per altro è il difensore storico di Carminati, un perseguitato giudiziario. A cosa si riferiva?
Al trattamento che mi è stato riservato. Per la mia conoscenza con Carminati e il tipo di lavoro che svolgo hanno fantasticato sui miei legami e sulle mie attività. E in 4000 pagine di indagini su di me, non è emersa alcuna prova in tal senso. Penso che chi ha il potere di decidere della vita delle persone dovrebbe usarlo con attenzione e in modo non pretestuoso.

In che senso?
Nel senso che il mio ultimo arresto, nel dicembre scorso, è avvenuto con tempistiche e modalità molto sospette. Innanzitutto articoli non veritieri su alcuni quotidiani, che mi accusavano di essere al centro di una truffa da un milione di euro ai danni dello Stato. Quei soldi non derivavano dallo Stato, ma da finanziamenti bancari, oggetto di un’attenta procedura. Comunque con quel denaro non c’entro nulla. Ma le dirò di più. Le tre società coinvolte hanno dichiarato di non conoscermi e quella per la quale lavoravo ha fatturato semplicemente ad esse 120 mila euro, quindi il 12 per cento. Io sono stato arrestato per un presunto riciclaggio di 20 mila euro transitati sul mio conto corrente su regolare tracciato bonifico. Quindi di cosa parliamo? È singolare invece che l’arresto sia avvenuto il giorno prima della sentenza del processo Finmeccanica. Anche allora, parte della stampa ha scritto, in maniera strumentale, che io stavo continuando a fare ciò di cui mi si accusava nell’inchiesta Finmeccanica. Invece da due anni mi occupo di calcio.

Si è parlato di lei come presidente del Foligno e in queste ore come azionista di riferimento dell’Ancona. Nel suo futuro vede il calcio?
Io principalmente mi occupo di società. Ne compro o entro nell’azionariato con una quota di maggioranza per assicurarmi il controllo, le ristrutturo aumentandone il valore e le rivendo. Da qualche anno mi dedico al pallone, perché è un mondo che mi da molti stimoli. Alcune società di calcio hanno un potenziale enorme, che non viene valorizzato. È accaduto all’Ancona, alla quale due anni fa mi sono avvicinato, ideando un progetto che avrebbe permesso alla società di trarre il massimo profitto da ogni singolo settore. Dal merchandising, con una linea di abbigliamento specifica, allo stadio poco sfruttato, al centro sportivo non ancora realizzato. Nella fase più delicata, in cui stavo completando l’acquisizione delle quote, però, per non permettermi di prendere il controllo della società dorica, sono state utilizzate ad arte le accuse su di me dell’inchiesta «Mafia Capitale», che come sappiamo erano infondate.

E oggi ci riprova?
Si. La situazione della società, però, è in condizioni peggiori rispetto a due anni fa. Però, nonostante questo, ho elaborato un progetto che risanerebbe completamente il club nell’arco di tre anni.

Per fare ciò c’è bisogno del sostegno dell’imprenditoria locale.

Un vero e proprio appello quindi?
Si, perché sono convinto che il calcio mai come oggi abbia bisogno del coinvolgimento di ogni realtà del territorio in cui si sviluppa.

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