Il nuovo "doping": l'uomo contro la donna. I Giochi dell'inclusività un'offesa al buon senso

Un pugile trans algerino sfiderà l'italiana Carini. Nel nome dell'equità a tutti i costi

Il nuovo "doping": l'uomo contro la donna. I Giochi dell'inclusività un'offesa al buon senso
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- nostro inviato a Parigi -

L'Olimpiade non è un diritto naturale. E neppure primario. L'unico valore universale nello sport, che non è vita ma ultravita perché tutto corre al mille all'ora e crudelmente, è l'equità nella competizione. Crudeltà ed equità sono i punti cardinali dello sport, dove il podio è un altare inverso del politicamente corretto, del conformismo, il podio è quel luogo sacro dove tutti non sono uguali. Sotto l'altare i perdenti, sui gradini bassi chi ha perso meno, e poi, lassù, un solo vincitore. In questo ultra mondo chiamato sport serve l'equità nelle condizioni di partecipazione perché sia accettabile la crudeltà insita nella competizione. Per questo il doping è il cancro dello sport e dei Giochi, e null'altro dovrebbe contaminarli.

Nell'olimpiade parigina della sbandierata parità uomo e donna e dell'inclusività a tutti i costi siamo invece di fronte a un nuovo doping: quello dell'atleta uomo che vuole competere con le atlete donna. Mai che accada il contrario, ovviamente. Perché il nuovo doping non è cretino. Così succede che, salvo decisioni in corsa dopo l'ondata di polemiche e richieste di chiarimento, l'uomo iscritto come donna, l'algerina Imane Khelif oggi salirà sul ring dei welters contro la nostra Angela Carini, 25enne napoletana molto preoccupata dai resoconti di chi ha già affrontato la transgender algerina. «Esperienza devastante», hanno raccontato le colleghe piene di lividi. Devastante perché è come se un canottiere gareggiasse con le fanciulle, solo che in acqua al massimo arrivano addosso gli schizzi, sul ring i pugni in faccia. E quel che è peggio è che la federazione di appartenenza l'aveva estromessa proprio per quei valori androgini. Ma non il Cio, che a furia di includere crea disparità di trattamento verso tutti gli altri atleti. Il Coni ha fatto sapere di essersi attivato con il Comitato Olimpico affinché i diritti di tutti gli atleti e le atlete siano conformi alla Carta Olimpica e ai regolamenti sanitari ma in serata Malagò ha precisato che «non arriverà alcuna risposta perché il Cio l'aveva già data... e non sono preoccupato per la Carini», per cui non cambierà nulla. Di diverso avviso il ministro dello Sport Abodi: «Si pone il problema delle pari opportunità o delle stesse opportunità. Non a caso, tante discipline sportive hanno posto dei vincoli per i transgender. In questo caso assistiamo a un'interpretazione del concetto di inclusività che non tiene conto di fattori primari e irrinunciabili». E il vice premier Matteo Salvini, che martedì aveva lanciato l'allarme, ieri l'ha ribadito: «Questa è una follia inaccettabile figlia dell'ipocrisia del politicamente corretto».

Ad essere violati sono in primis i diritti dello sport. Ogni disciplina è governata dalle capacità condizionali: forza, velocità, resistenza, coordinazione. Ci sono sport come la boxe, l'atletica, il nuoto dove forza, velocità, resistenza sono determinanti rispetto alle capacità di coordinazione (scherma, tiri...). Jacobs e Paltrinieri messi in pista o acqua contro Sha'Carri Richardson regina dei 100 piani o Simona Quadarella, le batterebbero senza affanno. Mentre il Cio dell'inclusività ottusa e della cecità prosegue per la propria strada sostenendo che l'algerina, l'altra pugile taiwanese Lin Yu-ting e le due calciatrici dello Zambia, Barbra Banda e Racheal Kundananji con testosterone abnorme, a segno a raffica l'altro giorno contro l'Australia, sono idonee in quanto «donne sul loro passaporto e gareggiano da anni...», la nostra Carini, con eleganza e sportività resta «concentrata sul match di oggi e si rimette alla decisione» dello stesso Cio. Quel che è scandaloso è che regina e re dei Giochi, cioè i due sport indiscutibilmente più importanti delle olimpiadi, atletica e nuoto, hanno già da tempo sistemato la questione. La World Athletics di sir Sebastian Coe, dopo anni di studi fisiologici approfonditi iniziati per il caso Semenya, ha imposto limiti precisi per gli ormoni negli atleti transgender e androgini.

Così anche nel nuoto, che sul tema è andato anche oltre, adottando la norma che le transizioni di genere debbano iniziare entro i 12 anni d'età e, in segno estremo di inclusività, introducendo accanto alle gare di uomini e donne, quelle riservate ai trangender. Andate deserte. Perchè il nuovo doping non è cretino.

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