Ha avuto i primi rapporti sessuali con il ragazzo quando quest'ultimo non aveva ancora compiuto quattordici anni. E i giudici della corte d'appello hanno in larga parte confermato la sentenza del primo grado di giudizio condannandola a sei anni, cinque mesi e quindici giorni di reclusione. Sono gli ultimi sviluppi legati al caso della "oss di Prato", l'operatrice sanitaria che ebbe un figlio dall'adolescente al quale dava ripetizioni scolastiche. Il sospetto degli inquirenti (poi appurato) era che la donna, oggi trentaquattrenne, avesse iniziato la relazione clandestina quando il giovane (adesso maggiorenne) aveva appena tredici anni.
Un'accusa di atti sessuali e violenza sessuale su minore che la difesa aveva rigettato, ma a quanto pare non è bastato. "Appare ragionevole che l'imputata, di fronte all'impossibilità di negare quei rapporti in ragione del concepimento di un figlio, abbia tentato di difendersi nell'unico modo che aveva, vale a dire posticipando il più possibile la data della prima volta, con l'obiettivo di alleggerire la sua posizione - si legge nella sentenza, stando a quanto riportato dal quotidiano online Notizie di Prato - . La responsabilità è emersa con certezza da una molteplicità di prove convergenti e di diversa natura e provenienza con le quali, oltretutto, le censure difensive si confrontano solo parzialmente". Le motivazioni dei magistrati di secondo grado sono state rese note due giorni fa e rispetto a quanto comminatole in primo grado dal Tribunale di Prato, ha beneficiato di uno sconto di pena di due settimane per l'assoluzione dal reato di violazione di domicilio.
"Lo studente ha ancorato la collocazione ad un momento talmente significativo e importante della sua vita che non può minimamente porsi in dubbio la precisione cronologica del ricordo: ha infatti riferito che era il giorno prima dell'esame orale di terza media. il ragazzo tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 aveva trascinato la relazione con l'imputata controvoglia, per evitare che lei rivelasse o facesse capire la vera paternità del suo bambino - il responso - li quadro probatorio a carico dell'imputata è, secondo questa Corte, schiacciante, mentre le sue affermazioni di innocenza risultato generiche, non sostenute da concreti riscontri e spesso contraddette dall'evidenza disponibile in sostanza, la tesi fin troppo semplicistica e soprattutto indimostrata della difesa, è che il giovane menta e che l'unico soggetto a fornire una versione veritiera sia, guarda caso, proprio l'imputata".
Assoluzione invece per il marito, inizialmente condannato per alterazione di stato per aver iscritto all'anagrafe con il proprio cognome il bambino partorito dalla moglie a seguito gli amplessi con il giovanissimo: è stato assolto perché non è stata raggiunta la
prova della sua consapevolezza circa la vera paternità”. L'appello ha infine quantificato il risarcimento a favore del ragazzo e della sua famiglia, portandolo dai 15mila euro stabiliti inizialmente dal tribunale a 50mila.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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