Le fake bipartisan e l'Occidente senza più verità

Ai tempi dell'Unione Sovietica, quando i due quotidiani più popolari erano la Pravda e Izvestija, sottovoce a Mosca si scherzava sul fatto che "nella Verità non ci sono notizie, nelle Notizie non c'è verità"

Le fake bipartisan e l'Occidente senza più verità

Ai tempi dell'Unione Sovietica, quando i due quotidiani più popolari erano la Pravda («Verità», l'organo del Partito comunista) e Izvestija («Notizie», organo del Soviet supremo), sottovoce a Mosca si scherzava sul fatto che «nella Verità non ci sono notizie, nelle Notizie non c'è verità». A Cortina di ferro crollata, Urss implosa e Kgb dissolto, in piena era del «fact checking» e dei social che ci avvicinano agli eventi, questi primi dieci giorni di guerra dimostrano che non è cambiato granché. La disinformatia è ancora una specialità in cui si eccelle sul fronte orientale e noi fatichiamo a trovare contromisure.

Una premessa obbligatoria: un fatto incontrovertibile esiste, e cioè che Putin - poco contano al momento le ragioni profonde e geopolitiche - ha invaso un Paese straniero, causando migliaia di morti. Nessuno dei 116 siti di propaganda filo-russa censiti recentemente potrà mai cambiare questa realtà. Ma al di là di questo macro-avvenimento, la narrazione del conflitto è costellata da bugie provenienti da entrambe le parti, annunci smentiti, video postdatati, ricostruzioni parimenti plausibili. Il risultato è che mai come in questa guerra tutto l'Occidente si ritrova a leggere notizie da fonti anche attendibili, ma senza sapere quanto durerà quella certezza. Ma se nemmeno la corrispondenza di un reporter inappuntabile o la voce di un'istituzione terza è definitiva, si crea un clima destabilizzante di sospensione perenne della verità.

Gli elenchi sono aridi, ma il numero di ritrattazioni di cui siamo impotenti testimoni è impressionante: i 13 soldati ucraini morti da eroi sull'Isola dei Serpenti in realtà erano stati fatti prigionieri; i razzi dei separatisti sull'asilo di Luhanski in realtà provenivano dall'artiglieria russa; i «diecimila soldati invasori annientati» da Kiev sembrano essere molti meno, e non per i presunti «forni crematori» portatili di cui ha parlato Zelensky. E ancora nell'«Ucraina nazista», il partito di estrema destra Svoboda ha preso il 2,15% e ha un solo parlamentare, le immagini dell'addio dei ragazzi di Donetsk partiti per il fronte alle loro fidanzate sono tratte da un documentario del 2017, il mediatore-traditore giustiziato dai Servizi di Kiev ora sembra essere caduto in missione per mano russa. Non ci sono prove del genocidio della popolazione russa nel Donbass, non ci sono prove degli stupri etnici di cui si sarebbero macchiati i soldati di Mosca; l'attacco alla centrale nucleare da parte dei russi, per il Cremlino è opera dei sabotatori-provocatori ucraini; Zelensky è fuggito in Polonia, anzi è con il suo popolo e resiste; i russi bombardano i civili in fuga, no sono gli ucraini a non farli uscire e a usarli come scudi umani. E che dire del video da film dell'elicottero abbattuto dalla resistenza e quello di Putin con la mano che «attraversa» il microfono? Tutto ci appare verosimile, la fake e il suo doppio, il complotto e la sua negazione.

Si potrebbe continuare, e la cosa più drammatica è che si continuerà. Non è una novità, l'inganno fa parte delle guerre da Troia in giù, e la costruzione di una narrazione fiabesca o orripilante per indirizzare l'opinione pubblica è fondamentale da quando la società è diventata di massa.

Inedita è la profondità e la finezza raggiunta nella battaglia incrociata della propaganda, questa sì combattuta ad armi pari, tra i figli fratricidi del cinismo leninista, quello per cui «la verità è sempre concreta». Come un colpo di kalashnikov a un dissidente, o come lo smarrimento di un mondo che si è illuso di sapere tutto e ora si scontra sul fatto che non riesce a sapere niente.

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