Il giudice non firma la sentenza «Se sbaglio, poi devo pagare io»

Il locatario di un magazzino con 47 quintali di sigarette di contrabbando rischiava la condanna: «Contro di lui c'erano solo indizi, non sono sereno»

Finisce alla Corte costituzionale la riforma della responsabilità civile dei magistrati tanto contestata dalle toghe. E con un precedente che, se imitato da altri giudici, potrebbe mandare in tilt l'intero sistema. Un giudice di Treviso, Cristian Vettoruzzo, si è rifiutato di emettere sentenza nel processo a carico del locatario di un capannone in cui erano stati trovati 47 quintali di sigarette di contrabbando, sostenendo che, sulla base della nuova norma, è rischioso sentenziare sulla base di semplici «elementi indiziari», quali quelli presenti nel suo dibattimento. Se sbaglio, è in sintesi il ragionamento del magistrato, rischio di dover pagare, e tanto visto che la legge permette allo Stato di rivalersi su di me con una trattenuta mensile sino a un terzo dello stipendio. E non solo. Anche se non sbaglio, sostiene ancora il giudice, non sono comunque sereno nel giudizio. Di qui la decisione: sospendere il processo e girare il caso alla Corte costituzionale, contestando la costituzionalità della riforma.

Dunque, stop al processo, in attesa della Consulta. Il «gran rifiuto» del magistrato è contenuto in un'ordinanza di 16 pagine dello scorso 8 maggio. Per l'imputato il pm aveva chiesto due anni di reclusione e 8.125.234 euro di multa. La difesa invece aveva chiesto l'assoluzione, almeno con formula dell'insufficienza della prova. E invece a sorpresa, al posto della sentenza, è arrivato il «fermi tutti» del giudice Vettoruzzo: «Dal materiale probatorio – scrive nell'ordinanza – non sono emerse prove rappresentative, sono emersi invece degli elementi indiziari. La valutazione di elementi indiziari è, come noto, particolarmente difficile e “rischiosa” in ordine alla correttezza dell'esito del giudizio probatorio» e «proprio nel procedimenti nei quali i “risultati probatori” sono meramente indiziari si manifestano i riflessi negativi della nuova disciplina della responsabilità civile dei magistrati introdotta con la legge 27 febbraio 2015 n. 18». Ed ecco il cuore del problema: «Alcuni istituti introdotti dalla nuova disciplina – continua Vettoruzzo – finiscono per incidere sul principio del libero convincimento del giudice che, per essere indipendente, deve essere libero di valutare le prove avvalendosi della discrezionalità che il legislatore gli attribuisce, senza temere conseguenze negative a seconda dell'esito del suo giudizio; invece la nuova disciplina da un lato espone il giudice a pressioni che possono provenire dalle parti in causa, dall'altro, prevedendo come possibile fonte di responsabilità civile anche la valutazione dei fatti e delle prove, mina il cuore dell'attività giurisdizionale, atteso che il giudice per forza di cose, se sa che la sua attività di valutazione potrà comportargli una responsabilità civile per danni, sarà portato, quale essere umano, ad assumere, soprattutto nei casi più difficili (e quindi per loro natura di essere rivisti nei diversi gradi di giudizio) la decisione meno rischiosa che, nel processo penale, è quasi sempre identificabile nell'assoluzione dell'imputato». Di qui l'eccezione di costituzionalità della legge di riforma, anche sul fronte dell'entità pecuniaria del risarcimento previsto (una trattenuta mensile fino a un terzo dello stipendio) visto che «per tutti gli altri dipendenti pubblici – osserva ancora Vettoruzzo – la trattenuta non può superare il quinto dello stipendio».

Bocce, anzi processo fermo, dunque. E la parola dunque alla Corte costituzionale.

Intanto l'iniziativa del giudice trevigiano è stata commentata dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini: «Mi auguro che prevalga la cautela – dice – nei cittadini, nelle parti, nell'avvocatura, e anche la serenità nella magistratura».

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