Nell'aprile del 1990 esistevano ancora l'Urss, la Iugoslavia e la Cecoslovacchia. In Sudafrica vigeva ancora l'apartheid e la Germania non si era ancora riunificata. Eppure un processo civile che prese avvio in quel mese, in provincia di Treviso, non si è, incredibilmente, ancora concluso.
All'origine del caso una banale discussione tra vicini di casa, scaturita da un fabbricato troppo vicino ad una delle due proprietà: la sentenza di primo grado risale al 2003, quella di appello al 2009. In Cassazione si arriva finalmente nel 2012, ma gli ermellini accolgono in ricorso della controparte e rimandano il tutto ancora una volta in appello. Come se non bastasse, in quest'ultimo passaggio viene perso il fascicolo del processo. Per intero.
A raccontare questa storia di ordinaria follia è Il Gazzettino, che raccoglie la testimonianza di due baristi trevigiani, i fratelli Luciana e Mauro Peruzzo, che in quella causa sono stati coinvolti quasi per caso. Il processo lo hanno infatti ereditato alla morte dei genitori, scomparsi ormai tredici anni fa.
Secondo il piano regolatore vigente a fine anni Ottanta, il vicino avrebbe potuto ampliare il proprio stabile del 15%, ma avrebbe preferito demolirlo e ricostruirlo da capo, adiacente al muro dell'altra casa. Dopo che la Cassazione ha accolto il ricorso del vicino, una prima udienza fissata per il luglio 2012 è stata rinviata per aspettare la nomina dei nuovi giudici - che ad oggi non è stata più fissata.
Ora i fratelli Peruzzo, esasperati da quasi un quarto di secolo di continui rinvii e lungaggini burocratiche, si dicono disposti a tutto: "Avremo speso circa 30mila euro in tutti questi anni tra avvocato e periti vari - dice Luciana - A parte il lato economico, che
è pesante da sopportare, mollare ormai non si può, a costo di incatenarmi davanti alla Cassazione. Ormai non ho nulla da perdere, ma vorrei evitare che questa causa la ereditassero i miei figli".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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