Greenpeace e gli scheletri nell'armadio

Greenpeace messa in discussione dall'opinione pubblica. Un recente studio pubblicato in Francia smentisce le intenzioni bonarie della "multinazionale verde". Collegamenti con colossi industriali, manipolazione degli studi e politicizzazione dei militanti, tutto in 171 pagine

Greenpeace e gli scheletri nell'armadio

Greenpeace è una delle ONG più conosciute al mondo. Simbolo internazionale della difesa dell'ambiente, con circa tre milioni di sostenitori, è un'organizzazione che raramente è stata messa in discussione. Specie dall'opinione pubblica. Oggi, però, questo rapporto del Centro Studi Strategici Carlo de Cristoforis (CESTUDEC), pubblicato in collaborazione con la francese École de Guerre Économique, rischia di smentire la narrativa dominante sui paladini dell'ambientalismo.

Lo studio dal titolo "GREENPEACE – Une ONG à double-fond(s)? Entre business et ingénierie du consentement", è a firma di Thibault Kerlizin: 171 pagine in grado di porre più di qualche interrogativo sull'esistenza di scheletri nell'armadio di Greenpeace. Tre i focus principali analizzati nel dossier: la poca validità scientifica degli studi; la mancanza di chiarezza rispetto la provenienza dei fondi; la base ideologica, dunque fortemente politicizzata, di una Ong teoricamente super partes. "Davide contro Golia", allora, in funzione delle tesi presentate, finisce per divenire solo un messaggio pubblicitario. Greenpeace, del resto, opererebbe come una vera e propria "multinazionale verde". Nessun gruppo di eroici attivisti contro il potere delle élite globali, ma secondo un filone molto meno epico, la ONG in questione sarebbe solo un Golia travestito da Davide.

Partiamo dalle presunte manipolazioni degli studi. Nel 2006, Greenpeace pubblicò un documento incompleto riguardante i rischi derivanti dall'energia nucleare. Un errore di pubblicazione che, tuttavia, non sfuggì ai più attenti. Il testo presentava una scritta tra parentesi che indicava come completare un punto del dossier, "nella maniera più allarmistica e catastrofica possibile". L'obiettivo, ben si capisce, sembra essere quello di accentuare le conseguenze dell'utilizzo del nucleare, senza tenere conto dell'oggettività dei dati. Secondo il rapporto di Kerlizin, poi, Greenpeace sarebbe autrice di "una serie di studi del tutto approssimativi o, in ogni caso, portati avanti senza rigore scientifico e addirittura manipolati". E ancora: "Tramite la diffusione di tali studi, Greenpeace tenderebbe a creare immagini distorte della realtà volte a dipingere il proprio avversario molto più potente e subdolo di quanto non sia e a creare allarmismo nell’opinione pubblica". Tra gli obiettivi, in fin dei conti, ci sarebbe quello di far apparire i propri avversari molto più forti della realtà.

Per quanto riguarda la trasparenza dei fondi, invece, il dossier in questione dimostra come solo una piccola parte dei finanziamenti destinati a Greenpeace finisca negli investimenti per battaglie ambientali. La macchina organizzativa dell'associazione con sede ad Amsterdam, del resto, è molto grande ed evidentemente la struttura necessita di grosse coperture economiche. Ma è un altro il punto potenzialmente cruciale dell'inchiesta: l'ONG sostiene di accettare solo finanziamenti da parte di soggetti privati. Niente istituzioni pubbliche, dunque. Tra le fondazioni che finanziano Greenpeace, però, figurano realtà direttamente collegabili ai Rockfeller, ad esempio. Lo studio di CESTUDEC, quindi, prosegue analizzando tre casi per cui pare che "numerosi fondi fossero stati sborsati da elementi che avevano interesse a danneggiare un pericoloso concorrente. Per questo, è stata clonata la definizione di "Mercenari Verdi". Due delle vicende analizzate riguardano Total, la compagnia petrolifera francese, che Greenpeace avrebbe in qualche modo contribuito a svalutare mediaticamente. Il danno d'immagine, però, sarebbe stato finanziato da un altrettanto imponente colosso industriale. Il quadro che ne viene fuori, insomma, sembra riguardare sfere d'influenza differenti dalla proclamata gratuità attivistica degli ambientalisti.

L'ONG, in passato, è stata anche protagonista di un caso di speculazione finanziaria, ma difficilmente le inchieste giornalistiche sui "paladini dell'ambiente" riescono ad emergere. Come quando, nel 2014, Greenpeace bruciò, secondo Der Spiegel, 3.8 milioni di euro in una spericolata operazione, una scommessa contro l'euro. Così come quando, del resto, 110 premi Nobel attaccarono la Ong. Anche in quel caso la polemica venne smorzata da una sopraffina abilità comunicativa.

Quesro documento su Greenpeace, in definitiva, si inserisce nel grande dibattito pubblico che sta coinvolgendo le organizzazioni non governative. Sul loro ruolo nel mondo e sulla bontà delle loro intenzioni, finalmente, vengono posti dei legittimi interrogativi.

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