I difensori di Bossetti: "L'assassino è un mancino"

È questo l’identikit dell’assassino di Yara tratteggiato dalla difesa del muratore di Mapello

I difensori di Bossetti: "L'assassino è un mancino"

"Un mancino, capace di maneggiare non un semplice coltello, ma un’arma "non comune" con una lama «importante e tagliente". È questo l’identikit dell’assassino di Yara Gambirasio tratteggiato dalla difesa di Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso con l’accusa di aver ucciso con crudeltà la 13enne di Brembate. Una persona in grado di infierire più volte sul corpo della vittima, di rivestirla, quindi di voltarle le spalle e lasciarla sola in quel campo abbandonato di Chignolo d’Isola
dove la giovane ginnasta è morta di stenti. Una ricostruzione che la difesa offre in una conferenza stampa a pochi giorni dall’udienza in Cassazione - dopo il no del Riesame di Brescia e il duplice rifiuto del gip di Bergamo alla scarcerazione - e con cui il legale Claudio Salvagni tenta di zittire la "grancassa di elementi ininfluenti spacciati come indizi". In una lunga conferenza stampa l’intero pool difensivo ricostruisce quanto accaduto a Yara a partire dal suo ritrovamento il 26 febbraio 2011, a tre mesi esatti di distanza dalla sua scomparsa.



Dall’esame delle ferite riportate nella relazione del medico legale emerge che l’arma ha uno spessore "di due millimetri", un dato che per la consulente della difesa Dalila Ranalletta,
"non è così frequente se si analizzano i comuni coltelli", ma potrebbe indicare un’arma "simile a quella impugnata da chi ha dimestichezza con i coltelli come quelli del kali filippino", disciplina che fa parte delle arti marziali. "Tenuto conto della direzione delle lesioni - spiega -, le ipotesi più convincenti, ossia più naturali e logiche, sono quelle in l’arma viene impugnata con la mano sinistra",

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