Alghe ed esotismo, quell’impero trash da 60 miliardi di lire all’ombra di Wanna

Inseparabili e diaboliche, mamma e figlia sono state la coppia inossidabile delle televendite, fino ai 9 anni a San Vittore. Ma una senza la "credibilità" dell’altra

Alghe ed esotismo, quell’impero trash da 60 miliardi di lire all’ombra di Wanna
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La madre Wanna sarebbe stata un talento del teatro e del cinema. Basta vedere il cameo per i Promessi sposi del trio Lopez-Solenghi-Marchesini in cui fa il verso a se stessa vendendo le alghe agli appestati.

Lei, Stefania, è un'altra storia, anche se con la mamma ha formato una coppia inseparabile per decenni. Parte come spalla, una ragazzina che accompagna Wanna nelle sue esuberanti performance. Poi l'epoca pionieristica delle tv libere lascia il campo all'imprenditrice spregiudicata che vuole massimizzare i profitti di una società, l'Ascié, arrivata ad avere un giro d'affari di 60 miliardi di lire. Se Wanna è a suo modo un tratto del costume italiano e rappresenta le massaie che poi tradirà con la catena di montaggio delle truffe e delle disgrazie, Stefania è il lato ragionieristico del sodalizio.

Se di Wanna restano in mente le espressioni - «D'accordo?» - di lei rimane quel colloquio surreale con Fosca Marcon, quel «le mando i carabinieri», oltre ogni impunità.

C'è una prima stagione, quella che comincia nel famoso garage di Ozzano nell'Emilia dove Wanna vende i suoi prodotti, le creme scioglipancia e la propria ruspante filosofia di vita. Le casalinghe trovano in lei una donna che non si arrende, che non si consegna a un destino di mediocrità e, anzi, si è affacciata al davanzale del benessere. L'illusione è che la Marchi trascini anche loro su questo tappeto volante. Stefania finisce sotto i riflettori all'ombra di Wanna, poi sviluppa un suo copione e declama i suoi monologhi.

È più dura, più trash, molto meno rassicurante. Ma l'Italia del boom, malata di ottimismo e di buona volontà, segue anche lei nella rincorsa ad una vita meno grigia, dove compaiono seconde case e cucine componibili, e poi palestra e fitness.

Una prima disavventura ferma il tempo. Ma le alchimie si ricompongono a Milano, nella sontuosa dimora del marchese Attilio Capra De Carrè che impazzisce per Wanna e le sue performance, portandosi dietro anche Stefania. Il marchese ha velleità televisive e ha anche un cameriere, appena arrivato dal Brasile, Mario Do Nascimento che serve compunto risotti e calici di bollicine. Do Nascimento è quel che serve per lanciare l'industria della fortuna: è cresciuto a Bahia e la nonna Esmeralda gli ha svelato i segreti del candomblé, la religione animista degli schiavi neri arrivati dall'Africa.

Un tocco di esotismo è quel che ci vuole per far decollare l'impresa; lo schermo tv fa la sua parte, il mago prega e profetizza, Stefania dirige come un direttore d'orchestra il centralino dove piovono le telefonate e grandinano centinaia di milioni di lire.

Il cliente - di solito donne sole - chiama e, un po' alla volta, racconta i propri guai che diventano informazioni preziose per la banda. Rametti di edera, rituali astrusi, il sale: la pancia profonda dell'Italia superstiziosa - un esercito di trecentomila persone contando anche solo quelli che hanno comprato una fascia elastica - perde il lume della ragione e spesso anche i risparmi in banca, sognando illusioni grossolane. È la furbizia contadina di Fosca Marcon a rompere questo muro di omertà e far crollare il castello. Do Nascimento scappa in Brasile col suo tesoro, il cui pezzo forte sono centinaia di rotoli di carta igienica, e torna a Bahia dove confiderà al sottoscritto: «Lavoro per Lula. Appendo i suoi manifesti elettorali».

Madre e

figlia arrivano a San a Vittore, vengono condannate a più di 9 anni di carcere per associazione a delinquere. Il seguito ha poca importanza. Ora scende il sipario su una lunga stagione in cui sono state versate troppe lacrime.

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