''Noi siamo venuti a fare un viaggio in India, in Rajahstan per l'esattezza, con un tour organizzato. Tutto è andato per il meglio sino a due giorni dalla conclusione quando una persona ha iniziato ad avere febbre e sintomi che facevano sospettare che potesse trattarsi di Coronavirus. È stata sottoposta a tampone ed è risultata negativa ma, non stando bene, è stata comunque portata in ospedale a Jaipur e noi abbiamo proseguito il viaggio sino a Nuova Delhi. Dopo due giorni è arrivata la notizia però che la persona, al secondo tampone, era risultata positiva e a quel punto è iniziata la nostra Odissea''.
A parlare e raccontare queste ore di isolamento è Stefano Taravella, ex provveditore agli studi e presidente Unicef di Lodi, partito con un gruppo di altri 22 lodigiani per un viaggio in India, gestito dall'agenzia Nice Day di Sant'Angelo Lodigiano che si era appoggiata sul tour operator Mistral di Torino, il 20 febbraio, il giorno della prima segnalazione di Coronavirus a Codogno. Taravella nel raccontare la situazione che lui e gli altri membri della comitiva stanno vivendo ha spiegato: ''Noi, in accordo con l'agenzia, una volta a Delhi e terminato il viaggio, ci siamo recati in aeroporto pronti a rientrare in Italia, ma lì siamo stati fermati dal personale aeroportuale che ci aveva già messi in una blacklist e siamo stati portati in una struttura militare, una caserma molto spartana, dove abbiamo trascorso i primi giorni di quarantena''.
Proseguendo nel raccontare la situazione l'ex provveditore agli studi di Lodi ha aggiunto: ''Questa struttura dove siamo stati portati all'inizio era molto precaria nei servizi: bagni in comune, camerate con brande militari, ed essendo un gruppo composto da uomini e donne i disagi non sono stati pochi. Subito siamo stati sottoposti ai test e quando hanno avuto gli esiti ci hanno convocati e in una maniera molto angosciante, come se stessero leggendo una lista di proscrizione, hanno annunciato i positivi e i negativi. Sette sono risultati negativi, tra cui mia moglie, e sono stati fatti rientrare in Italia, io e altri 13 invece siamo positivi asintomatici e siamo stati trasferiti in un centro ospedaliero alla periferia di Delhi dove ora siamo in isolamento''.
Raccontando le ultime ore Taravella ha aggiunto: ''Adesso siamo in una struttura pulita, ognuno ha la sua stanza e siamo in contatto con l'Ambasciata che si sta dimostrando molto premurosa e ci ha fatto pervenire anche dei libri per cercare di combattere la noia e la solitudine di queste ore. Ognuno è recluso nella sua stanza, tra noi del gruppo possiamo comunicare solo attraverso Whatsapp e al momento non ci dicono nulla su quello che possiamo fare e quando finirà questo isolamento''.
Riguardo al rapporto con il personale medico sanitario indiano Stefano Taravella ha aggiunto: ''Non si dimostrano ostili nei nostri confronti, però quando entrano in stanza ci obbligano a indossare le mascherine e loro indossano degli scafandri ermetici ed è impossibile riconoscerli. Non c'è un grande rapporto umano.
Inoltre essendo separati tra di noi e confinati nelle nostre stanze ci sentiamo anche soli''.In conclusione Taravella ha aggiunto: ''Quello che noi vorremmo è poter riuscire a tornare in Italia e terminare la quarantena nel nostro Paese, è questa la sola cosa che chiediamo alle autorità italiane''.
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