Lasciate la politica fuori dagli ospedali

Dovremmo essere tutti grati alla Lorenzin, come lo fummo a Sirchia. Ma non si ignorino gli effetti delle "migrazioni"

Lasciate la politica fuori dagli ospedali

Diciamo la verità: un Paese ove l'attuazione di un programma di vaccinazioni della popolazione finisce col passare attraverso il Tar, la Corte costituzionale, il Consiglio di Stato, solo perché un manipolo di persone ignoranti, irresponsabili e prepotenti scende in piazza in nome di una presunta libertà di autodeterminazione, è un Paese scientificamente e democraticamente ancora immaturo.

È normale e desiderabile che i governi, qualunque sia il loro colore politico, sentano il dovere di proteggere i governati da rischi che possano trasformarsi in concreti e certificati pericoli. Ché, se si insistesse a non riconoscere quel dovere ai governi, allora si lascerebbe a ciascuno di noi il compito di decidere come da quei pericoli proteggersi. La velocità che le automobili devono tenere in città non è lasciata all'autonoma determinazione degli automobilisti, ma tutti noi pretendiamo che vi sia un limite imposto per legge e al quale tutti devono attenersi, pena sanzioni. Se esiste una tecnologia, scientificamente provata, in grado di ridurre, in modo scientificamente provato, le emissioni di certi inquinanti, saranno i governi a imporre l'uso di quella tecnologia, che non verrebbe quindi lasciato alla decisione arbitraria del potenziale inquinatore. Quando il ministro Sirchia del secondo governo Berlusconi estese il divieto di fumo a tutti i locali chiusi con accesso pubblico, prese una lodevole misura di protezione della salute verso chi, inerme, era fino ad allora costretto a inalare il fumo altrui; i camerieri dei ristoranti, tanto per fare un esempio, ne inalavano oltre ogni ragionevole limite.

I programmi di vaccinazione servono non solo a proteggere il vaccinato, che in linea di principio avrebbe tutta la libertà di volersi ammalare e quindi di pretendere di non vaccinarsi, ma servono anche ad applicare la volontà di una società di contenere (se non debellare, come è stato per il vaiolo che 200 anni fa mieteva mezzo milione di decessi solo in Europa) un virus, ove esiste la tecnologia per farlo. Ma più d'ogni altra cosa, servono a proteggere coloro che per ragioni immunitarie non possono vaccinarsi: chi infetta costoro ha gravi responsabilità morali; e non riconoscerle avrebbe conseguenze logiche devastanti in altre circostanze. Chi rivendica il diritto di non vaccinarsi pretende allo stesso tempo, in caso di malattia, il dovere da parte dello Stato, cioè della società, di curarlo. Ma la cosa è illogica perché, mutatis mutandis, la società potrebbe pretendere di esercitare il diritto di autodeterminazione a non curare i singoli. Insomma, ognuno-si-arrangi-da-sé è la logica conseguenza di chi, rifiutando la prevenzione, permetterebbe alla società di ripagarlo con la stessa moneta, rifiutandogli le cure. Tutte le cure, non solo quelle per malattie conseguenti a vaccini rifiutati. Allora, al di là del colore politico e del braccio di ferro con il governatore del Veneto Zaia sul rinvio dell'obbligo di vaccinazione, dovremmo essere tutti grati alla Lorenzin, come a suo tempo lo fummo a Sirchia. Questi dovette sopportare oltre ogni decenza attacchi che non meritava, così come oggi li sta sopportando la Lorenzin. Onore, quindi, alla caparbietà di entrambi.

E, nel caso dei vaccini, scuola o non scuola, il solo fatto di essere nati dovrebbe essere sufficiente per essere sottoposti ai programmi di vaccinazione.

Parimenti, come insegna la storia della bambina di Trento uccisa a Brescia dalla malaria, le stesse misure dovrebbero essere prese sulle cosiddette «migrazioni» che i governi degli ultimi anni hanno irresponsabilmente incoraggiato. Sono un fenomeno così complesso le cui conseguenze vanno ben oltre l'integrazione e l'emergenza sicurezza.

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