In Italia c’è una strana avversione per la parola “clandestino”. Eppure nel vocabolario italiano c’è, non se l’è inventata un qualche sovranista di passaggio all’Accademia della Crusca. Scrive la Treccani: clandestino è “una persona che entra in un Paese illegalmente”. Semplice. Dunque tutti i migranti che sbarcano in Italia su una nave “fantasma”, un gommone o grazie alle navi delle Ong sono tecnicamente clandestini. E lo sono almeno finché non fanno una richiesta di asilo ed ottengono quel magico permesso di soggiorno provvisorio. A quel punto abbandonano un abito che nel 70-80% dei casi torneranno a vestire non appena la domanda di accoglienza verrà respinta.
Faccio questa breve premessa perché qualche giorno fa Repubblica ha aperto il giornale con un titolo ad effetto: “Meno profughi, più lavoratori. La nuova Italia dei migranti”. All’interno i “lavoratori” diventano “migranti economici” (più corretto), ma a parte qualche pennelata di “immigrazione irregolare” la parola “clandestini” non compare mai. Mai. Eppure è di questo che si tratta. Mi spiego. I “profughi” sono coloro i quali ottengono una qualche forma di protezione internazionale. Sono persone in fuga da guerre, maltrattamenti, pericoli. Sono uomini e donne che un Paese serio ha il diritto e il dovere di accogliere, perché vorremmo che un giorno accadesse lo stesso a noi se ci trovassimo in quella condizione. Ma per i “lavoratori” e i “migranti economici”, il discorso è diverso. Qualsiasi Stato nel mondo ha regole ben precise sugli ingressi degli stranieri. In fondo esiste per questo: difesa dei confini e gestione dell’ordine interno. Uno Stato ha dunque il compito irrinunciabile di regolare il flusso migratorio proveniente dall’esterno. E se l’accoglienza ai profughi è un dovere, non lo è far entrare tutti i “migranti economici”. Se così non fosse, il motto “no border” si trasformerebbe in un “liberi tutti” che oggi potrebbe anche non comportare un disagio drammatico, ma in futuro non si sa (guerre, carestie, crisi economiche sono sempre in agguato). E questo uno Stato non può permetterselo.
Ecco perché “esultare”, come sembra fare Rep, per i “nuovi migranti” più “lavoratori” che “profughi” è assurdo. O meglio: se questo significasse che nel mondo ci sono sempre meno “rifugiati” che necessitano di aiuto, sarebbe ovviamente un bene. Ma questo non si trasforma automaticamente in un portone spalancato per gli altri. Esultare è sbagliato perché tutti quei migranti economici che stanno entrando nel Belpaese per qualche tempo rimarranno nel limbo dei richiedenti asilo, poi in quello dei ricorrenti in Tribunale, infine ingrosseranno le fila degli irregolari che procurano non pochi problemi alla gestione dell’ordine pubblico. E guardate bene: a dirlo non è brutto puzzolente sovranista o un populista poco istruito. Ma l’Unione Europea. Basta andare a leggersi il piano della Commissione per la modifica del trattato di Dublino.
In quelle pagine è scritto chiaramente: gli irregolari non possono e non devono restare in Europa. Vanno rimpatriati. Se Rep esulta per i tanti “migranti economici”, sappia che tra poco l’Ue dovrà pagare per rimandarli indietro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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