Per anni, chi in Italia ha difeso la sacrosanta libertà di parola e pensiero delle gerarchie ecclesiastiche sui temi etici della politica italiana, ha usato un argomento semplice: la Chiesa fa la Chiesa. Ovvero tutela legittimamente il suo magistero, la sua dottrina, anche i suoi interessi. Ma se appelli, prediche e moral suasion sono un diritto, l'atto formale con cui il Vaticano chiede al governo italiano «non di bloccare, ma di rimodulare» il disegno legge Zan è qualcos'altro. Non una discussione fra due istituzioni (e Nazioni, giova ricordarlo), ma una battaglia di carte bollate su una norma, peraltro non ancora promulgata. È il segno che la Chiesa, oltre a fare la Chiesa, torna a sentire l'impulso - covato dai tempi di San Pietro e messo in soffitta dalla breccia di Porta Pia e dal Non expedit - di fare anche lo Stato.
Su questo Giornale lo abbiamo scritto molte volte: il disegno di legge Zan contro l'omotransfobia è divisivo, pasticciato e presenta più di un nodo sulla salvaguardia della libertà di pensiero e sulla propaganda fra i minori a scuola. Posto che queste criticità sono state espresse da un ventaglio molto eterogeneo di categorie, dai comunisti ai vescovi, dalle femministe ai conservatori, davvero serviva al dibattito questa specie di anatema? L'intervento della Santa Sede sposta il centro del discorso. Perché ora non si discetta più di una legge buona o cattiva, ma di chi deve decidere se lo è. E la sensazione è che anche quei liberali che osteggiano il provvedimento siano infastiditi da un'ingerenza così pesante.
Gli italiani meritano di essere rappresentati da una classe politica che si prenda la responsabilità di decidere se il ddl Zan fa schifo, è ottimo o è da modificare, senza essere imbeccata o commissariata da un'autorità esterna. Invece lo spettacolo dei partiti in queste ore è penoso. La sinistra degli ultrà arcobaleno che ha fatto muro in Parlamento ora si affretta a dire che è giusto dialogare. I sovranisti che tuonavano contro il «ce lo chiede l'Europa», ora esultano se le richieste arrivano da Oltretevere. Pochi che ricordino un semplice punto: compito degli eletti, a cui spetta il potere legislativo da Costituzione, è ascoltare tutti (dunque anche una Chiesa cristiana cattolica su cui si fonda la cultura nazionale) e poi legiferare in autonomia, salvo assumersi le responsabilità davanti agli elettori delle proprie scempiaggini. E sull'eventuale incompatibilità con i trattati internazionali è la Consulta a doversi esprimere. Fine della querelle dallo stantio sapore Risorgimentale.
Invece questa scomposta entrata a gamba tesa senza precedenti polarizza le posizioni, rinfocola le solite accuse da bar alla Chiesa che non paga le tasse e difende i pedofili e riesce nel miracolo di trasformare un provvedimento discutibile nella bandiera dell'indiscutibile primato dello Stato laico. Così che - invece di salvaguardare «la libertà garantita ai cattolici dall'articolo 2 del Concordato» - il Parlamento finirà per approvare la legge per ripicca, e per dimostrare un'orgogliosa autonomia (presunta). Con il risultato che la legge passerà e limiterà la libertà di tutti, non solo dei cattolici.
In punta di diritto starà ai giuristi decidere se la
protesta è fondata. Ma politicamente è un autogol goffo, ostile e anche un po' fastidioso. Viene da dire che per fortuna chi amministra il Vaticano non viene eletto a suffragio universale: difficilmente verrebbe rieletto.
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