Alla fine anche a sinistra si sono stufati della sinistra. Quantomeno della sua propaggine più caricaturale. Era inevitabile, prima o poi doveva succedere. Ieri lo ha confermato Nicola Zingaretti, uno che bazzica quegli ambienti da una vita, e quindi ha i titoli per parlare e demolire la sua casa d'origine, non prima però di aver squadernato una serie di luoghi comuni: «Dobbiamo essere intransigenti fra i due opposti estremismi: il conservatorismo, che non cambia la condizione di vita delle persone e dà ai populismi e ai fascismi la bandiera per rappresentare ingiustamente certi valori. Così come non serve il fighettismo che usurpa in Italia la parola riformismo».
Dunque, potremmo discettare a lungo sul valore e l'importanza del conservatorismo, sul fatto che ormai è più facile trovare un panda nel centro di Milano che un populista in circolazione e che il fascismo - eccezion fatta per il metaverso in cui vivono gli antifascisti militanti, che di qualcosa devono pur campare - è morto e sepolto da più di un settantennio. Ma questo è il solito arsenale spuntato della sinistra, niente di nuovo sotto il sole.
La vera svolta, la novità, è l'autodenuncia di «fighettismo». Che poi è quell'insopportabile complesso di superiorità che trasforma una certa sinistra italiana in una élite che in confronto Bilderberg è una bocciofila. La convinzione - tanto profonda quanto infondata - di essere depositari di un primato morale che permette di guardare tutti dall'alto verso il basso. Ed è questo il vero problema della sinistra italiana: aver ucciso nella culla il riformismo e contrapporre al pensiero forte conservatore e liberale un non pensiero come il «fighettismo», che è solo una posa, un atteggiamento, una forma senza una sostanza. E, non a caso, il presidente della Regione Lazio si autodenuncia a una kermesse organizzata da Sinistra civica Ecologista, dalla quale lancia un nuovo «campo largo»: la «rete rosso verde Alternativa comune».
Ed è subito un capolavoro involontario, perché questa nuova creatura, in bilico tra l'ecologismo gretino e quel che resta della sinistra post sessantottina, capitolina e molto salottiera, è la maiuscola rappresentazione del «fighettismo» stesso. E più che un campo largo, rischia di essere l'ennesimo vicolo stretto. Dal fighettismo allo sfighettismo il passo è brevissimo.
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