E se fosse un serial killer solitario? Parla l’avvocato Biscotti

In un’intervista esclusiva, l’avvocato Valter Biscotti ritiene che la svolta per individuare il “mostro di Firenze” possa giungere dall’utilizzo delle nuove tecnologie d’indagine

E se fosse un serial killer solitario? Parla l’avvocato Biscotti

Giusto pochi giorni fa, l’avvocato Valter Biscotti - che rappresenta Estelle Lanciotti, figlia di Nadine Mauriot, l’ultima vittima femminile del Mostro di Firenze, massacrata insieme al compagno Jean-Michel Kraveichvili nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1985 a Scopeti, in provincia di Firenze – aveva chiesto l’avocazione delle indagini sul mostro alla Procura generale di Firenze. Due giorni dopo, il 1 luglio, si viene a sapere che la procura ha chiesto al Gip l’archiviazione di un filone d’inchiesta citato da Biscotti nella sua richiesta di avocazione, ovvero quello riguardante il proiettile ritrovato nel 1992 – dunque nel pieno delle indagini – nel giardino di Pietro Pacciani. Il Gip Silvia Romano si è riservata di decidere sull’archiviazione. Sembra davvero che vecchi fantasmi siano tornati ad agitare i sonni di qualcuno. Dopotutto, come sarebbe possibile dimenticare quella stagione di sangue che ha strappato alla vita sedici persone e terrorizzato un’intera nazione? Come sarebbe possibile se, nonostante le condanne, molti sono i dubbi sulla vera identità del mostro? Probabilmente, il fenomeno “pop” del mostro di Firenze non cesserà mai di esercitare il suo fascino perverso. Almeno fin quando non dovesse uscir fuori qualcosa, un indizio che finalmente possa far scrivere la parola “fine” su questa vicenda. Ne abbiamo parlato con Valter Biscotti, avvocato penalista di lungo corso, che nella sua carriera di casi oscuri ne ha visti non pochi: dal delitto di Meredith Kertcher a quello di Sarah Scazzi; da Salvatore Parolisi al delitto dell’Olgiata. Ecco l’intervista.

Avvocato, in pochi fatti di cronaca nera troviamo un pubblico schierato in quelle che potremmo definire vere e proprie tifoserie come nel caso del Mostro di Firenze, secondo lei per quale ragione?

“Beh, in tutti i casi di cronaca nera attenzionati dai grandi mass media, da sempre si formano delle fazioni che di solito possiamo dividere tra innocentisti e colpevolisti. Un tempo, negli anni ’50, le persone, in occasione dei grandi processi, si raccoglievano nelle piazze antistanti ai tribunali. Oggi ci sono i social che alimentano una discussione non sempre equilibrata”.

Ha parlato di innocentisti e colpevolisti. Nel caso del Mostro di Firenze, però, le piste sono davvero molte. Alcune più solide, altre meno, e allora le chiedo: i colpevolisti a chi attribuiscono la colpa? E gli innocentisti di chi sostengono l’innocenza?”

“Intanto bisogna prendere atto che ci sono stati un processo a Pacciani che non si è concluso per la morte dell’imputato; c’è un altro processo che si è concluso con tre gradi di giudizio con la condanna di Vanni, Lotti, i cosiddetti compagni di merende. Poi ci sono dei procedimenti archiviati dopo indagini e stiamo parlando di quelli contro Giampiero Vigilanti e assoluzioni come quella a Francesco Calamandrei. Il problema qual è? Certi processi possono diventare paradigmatici per un certo modo di condurre e intendere la giustizia. I processi sul Mostro di Firenze sono tra questi. Io sono convinto che la verità non sia quella descritta nelle sentenze che fin ora abbiamo avuto, io credo che il cosiddetto mostro sia un serial killer”.

Quindi possiamo definirla un innocentista?

“No, ma sono convinto che quei processi non sono serviti per accertare tutta la verità. Ci sono delle sentenze che sono quello che sono, sono sentenze passate in giudicato, quindi allo stato attuale quelle fanno testo. Ma le sentenze si possono discutere, si possono opinare, si possono addirittura contrastare, non a caso nel nostro sistema processuale penale, se esiste l’istituto della revisione delle sentenze è proprio per questa ragione. Quando esistono delle prove che lasciano intendere che quel processo è un processo che ha consentito l’emissione di una sentenza sbagliata, si può e si deve mettere tutto in discussione”.

Mi sembra che, più o meno direttamente, lei stia dicendo che c’è stato uno, se non più di uno, errore giudiziario in questo caso. Parliamo di errori fisiologici, come possono esserci in qualunque caso di simile portata, o si tratta di errori in qualche modo strumentali, di macchinazioni?

“Parlare di macchinazioni diventerebbe troppo pesante, io non ho prova di nessun tipo di macchinazione. Io sono convinto invece che si è trattato di un errore commesso da chi ha emesso queste sentenze. Non a caso il dubbio c’è, perché nell’appello del processo a Pacciani un magistrato eccellentissimo e rispettatissimo come il procuratore generale dell’epoca, Piero Tony, ne ha chiesto l’assoluzione in maniera molto determinata e articolata, richiesta accolta dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze presieduta da Francesco Ferri, il quale poi, in un suo libro, è stato molto severo nei confronti di un certo metodo di fare indagini, paragonato a quello della manzoniana colonna infame. Nel processo ai compagni di merende, poi, lo stesso procuratore ne ha chiesto l’assoluzione, quindi sicuramente qualcosa che non torna c’è, nonostante le sentenze di condanna. Ho la netta impressione che quei processi siano stati voluti, uso una parola virgolettata, con una certa ostinazione, il che forse ha complicato l’accertamento della verità”

Sta dicendo che andava trovato un colpevole a tutti i costi?

“In un certo senso si, io sono tanti anni che faccio questo tipo di processi, e non posso non escludere che a volte vi è una certa ostinazione da parte delle procure nel seguire le proprie tesi accusatorie. In quegli anni, e siamo a metà degli anni ‘90, a mio giudizio, anche perché ne sono stato testimone e in qualche modo protagonista, ho la sensazione che vi sia stato un certo tipo di sbandamento in processi importanti, uno sbandamento dovuto a una volontà di voler per forza raggiungere un determinato risultato”.

Si riferisce al processo Pecorelli, cui lei ha preso parte come difensore di uno degli imputati?

“Si, penso proprio a quello, ma non solo. Anche ai processi per la strage alla stazione di Bologna”

Lei prima hai parlato di un serial killer. Riepilogando brevemente, per il Mostro di Firenze abbiamo la cosiddetta “pista sarda”, quella dei compagni di merende; abbiamo il filone perugino con il medico Francesco Narducci [ritrovato cadavere nel lago Trasimeno] e poi abbiamo anche un profilo in stile Fbi. Posto che questo profilo portò all’individuazione di Pietro Pacciani, la cui colpevolezza lei mette in discussione, possiamo dire che anche lei propende per una tipologia di assassino seriale, organizzato e, soprattutto, solitario?

“Si, infatti tutta la letteratura sui serial killer lascia intendere che ci troviamo proprio di fronte a un caso simile. Il serial killer solitamente vuole interloquire con gli investigatori. E qui è successo proprio questo. Anzi, penso che occorrerà chiedere di poter avere copia di tutti i messaggi anonimi che sono arrivati agli investigatori e alla procura nel corso degli anni, perché sono certo che oltre alle famose lettere ai tre magistrati, oltre al lembo del seno fatto pervenire al magistrato Silvia Della Monica, ci sono certamente altri elementi dal quale desumere la volontà da parte di questo serial killer di interloquire con i magistrati, questa è la chiave della soluzione di tutto”.

Quindi i cosiddetti compagni di merende hanno avuto un ruolo complementare o di cornice a questi omicidi o proprio non c’entrano nulla?

“Se l’ipotesi del serial killer è fondata, come sono convinto che sia, non hanno nessuna relazione con le dinamiche omicidiarie. Certo, mi si può venire a dire che ci sono delle sentenze passate in giudicato, dove ci sono testimoni, ma io rispondo che ho visto in diversi processi decine di testimoni affermare una cosa poi rivelatasi falsa. Penso soprattutto al caso Tortora, dove c’erano una dozzina di pentiti e testimoni che affermavano fosse uno spacciatore”.

Le richieste di avocazione alla procura generale hanno avuto risposta? Ci sono state reazioni?

“Per ora c’è, da parte della Procura generale, richiesta di ulteriori indicazioni, però è successa una cosa abbastanza importante: il 1 luglio, per la prima volta, arriva un provvedimento con il quale il Gip Silvia Romeo ci concede, contrariamente al parere del pm, l’accesso ad alcuni documenti il cui accesso prima ci era stato negato, proprio nel rispetto del diritto della persona offesa. Io credo che la decisione di questo Gip contro il parere della procura rappresenti un atteggiamento nuovo rispetto a quanto fatto fin ora. Io dico che il Gip ha concesso un’autorizzazione già negata in passato cogliendo forse la sensibilità e la ragionevolezza delle nostre istanze: un segnale che forse qualcosa sta cambiando”.

Sulla base dei suoi elementi, il Mostro di Firenze – dando per buona l’ipotesi del serial killer - potrebbe essere ancora vivo?

“No, probabilmente è morto. Però sono convinto che comunque è un diritto delle persone offese il sapere la verità, anche perché per tre duplici omicidi non c’è né un provvedimento di archiviazione, né una sentenza [il delitto del 1974 e i due delitti del 1981, ndr]”.

Ma lei ha un sospettato?

“Non è questione di avere dei sospettati, è questione di pensare che sia ipotizzabile che nelle carte, sia del processo Pacciani, sia del processo ai compagni di merende, c’è la soluzione del caso. Io ne ho fatti tanti di processi penali: la condanna e l’assoluzione spesso dipendono dai dettagli. Insieme ai miei colleghi sono alla ricerca di questi dettagli che consentano di svelare tutto quello che è successo. Quindi nel rispetto primario della vittima del reato andremo fino in fondo. Non mi fermo solo perché ci sono delle sentenze passate in giudicato”.

Non parliamo del processo, ma degli anni in cui ha operato il mostro. Sono stati anni particolari per l’Italia. L’attività del mostro, come spesso si sente dire, rientra in un quadro di destabilizzazione inquadrabile nell’ampio spettro della strategia della tensione? C’è stato un cordone di impunità intorno al killer per consentirgli di operare?

“Ritengo di no, credo siano tutte dietrologie. Io sono convinto che si tratti di un caso rarissimo, se non unico a livello internazionale, di un serial killer che ammazza otto giovani coppie. Come spesso accade, non viene scoperto perché magari muore prima, ma io sono anche convinto che possa aver lasciato delle tracce per essere addirittura individuato, magari in futuro, come già accaduto in passato per altri crimini dello stesso genere. Eventuali nuove indagini derivano dal fatto che la tecnologia investigativa di 30 anni fa è completamente superata. Non solo il Dna, ma anche altre indagini scientifiche, come lo studio entomologico, diventano determinanti, per esempio per sapere il momento esatto, la data di un determinato omicidio. E nel caso dell’omicidio di Scopeti, diventano nuove indagini con nuove tecnologie di straordinario valore. Ormai la tecnologia scientifica ha fatto passi da gigante e affrontare un’indagine con la tecnologia di adesso, ove si avesse qualche elemento in più, sarebbe non dico risolutivo ma quasi. Insieme ai miei colleghi, gli avvocati Vieri Adriani, Antonio Mazzeo, il consulente Paolo Cochi e altri professionisti, stiamo cercando di fare azioni e istanze per riaprire le indagini e scoprire la verità che manca”.

Parlando di livello internazionale, pochi anni fa è stato fatto un suggestivo accostamento tra il mostro di Firenze e il serial killer americano Zodiac. Anche qui siamo nella dietrologia o nel complottismo?

“Non conosco bene i fatti legati al serial killer Zodiac, però certamente è molto simile. Non dico che sia la stessa persona, però è la stessa tipologia di reati legati a una specifica persona, certamente malata, certamente intelligentissima. Però, ripeto, non conosco gli atti relativi a Zodiac. Lo schema è molto simile, la metodologia usata è la stessa. Io sono convinto che il mostro di Firenze sia un serial killer unico, solitario, intelligentissimo, di un’intelligenza superiore e con una psicologia folle, tale da interloquire, come accade in questi casi, anche con gli investigatori. E io sono sicuro che le tracce ci sono, vanno solo cercate con intuizione e nuovi strumenti d’indagine”.

Quindi una verità è possibile?

“La verità è sempre possibile. E sono convinto che sia nascosta nelle carte delle indagini e soprattutto dei processi che si sono fatti, e ripeto, la verità si scopre soprattutto dal dettaglio. E qui di dettagli ce ne sono stati pochi, e quei pochi fallimentari: uno era il famoso quadro trovato in casa di Pacciani, che addirittura era diventata l’arma vincente da un punto di vista psicologico per descrivere Pacciani come un mostro omicida, senonché quel quadro era di un autore cileno. L’altro dettaglio – fallito - è il famoso bossolo ritrovato nel giardino di Pacciani che adesso scopriamo – e finalmente potremo avere a disposizione la perizia – che è certamente artefatto e non ha nulla a che vedere con l’omicidio. Ora, mettendo lì un bossolo Winchester H, della stessa serie degli altri bossoli, degli altri omicidi, nel giardino di Pacciani in piene indagini...”

Possiamo parlare di depistaggio?

“Quel bossolo ce l’ha messo qualcuno. Ora viene chiesta l’archiviazione, ma bisognerebbe capire perché è stato messo lì.

Io sono convinto che sia stato fatto per sostenere il più possibile, così come la tesi del quadro attribuito a Pacciani, tutto l’impianto accusatorio. E chi ha avuto questa idea, ha avuto una pessima idea. Prima o poi lo scopriremo”.

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