Una situazione davvero particolare quella di un gruppo di lavoratrici di Montello, un Comune in provincia di Bergamo di appena 3mila anime.
Diciassette operaie impiegate nella fabbrica - che porta lo stesso nome del paese - a dividere i rifiuti per il riciclo, tutte immigrate, sono state licenziate dopo il cambio dell'appalto. Erano occupate nella piccola azienda di rifiuti da oltre dieci anni. Provengono da diverse nazioni: Pakistan, India, Gambia, Senegal, Burkina Faso, Marocco, Albania, Brasile.
Lavoravano insieme ad altre cinquecento persone. Un lavoro duro: in piedi durante tutta la turnazione a seguire i ritmi dei nastri trasportatori per separare plastica o materiale anche pericoloso. Nella fabbrica Montello SpA circa il 90% del personale è assunto attraverso l'adesione a una società cooperativa.
Si tratta di un'ex acciaieria riconvertita, nel 1996, a fabbrica per il riciclo di rifiuti organici e plastica, con un investimento di 300 milioni di euro in vent'anni. Oggi tratta 600mila tonnellate l'anno di organico e 200mila di plastica con un fatturato, solo nel 2017, di 125 milioni di euro.
Secondo quanto dichiarano le ex lavoratrici, oggi licenziate, il lavoro è stato negato "perché abbiamo deciso di lottare per i nostri diritti, come quello del riconoscimento delle otto ore di lavoro che devono essere pagate per otto ore effettive. Inoltre la pausa di mezz’ora, a differenza di altre fabbriche, non ci viene retribuita. Con altre decine di operaie abbiamo lottato in fabbrica e fuori, abbiamo scioperato". Lo sciopero non ha portato a nessun accordo, ma solo ad una vertenza davanti al giudice del lavoro per il recupero della mezz’ora di pausa.
Durante la causa, però, la cooperativa EkoVar si è sciolta e Montello ha affidato l’appalto ad un’altra cooperativa, la Selection.
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