Niente soldi. I bancari picchiati sono già cento

"All'atto d'amore" chiesto alle banche il 28 aprile si è aggiunto, meno di un mese dopo, l'appello al sistema bancario che "può e deve fare di più", arrivato il 21 maggio.

Niente soldi. I bancari picchiati sono già cento

All'«atto d'amore» chiesto alle banche il 28 aprile si è aggiunto, meno di un mese dopo, l'appello al sistema bancario che «può e deve fare di più», arrivato il 21 maggio. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha le banche in cima ai suoi pensieri. E utilizza queste formule lievi per far passare un messaggio che invece è assai pesante. Vale a dire che sono le inefficienze del sistema bancario le cause da cui dipendono lentezza e scarsità dei flussi di liquidità a famiglie e imprese in difficoltà. Il messaggio, in fin dei conti, regge, perché è difficile non avere almeno un conoscente o un parente pronto a raccontare un aneddoto di mala-burocrazia da filiale ai tempi del virus. Ma la questione dipende dal metodo scelto dal governo: quello di utilizzare il sistema bancario come meccanismo di trasmissione della liquidità al sistema perché «non abbiamo alternative», come ha detto il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri. Il che significa che né l'Inps, né l'Agenzia delle Entrate sono considerate valide alternative. Prendiamolo per vero. Dopodiché il sistema bancario finisce per essere sovraesposto rispetto ai malumori del Paese. Al punto che è di ieri la notizia del centesimo caso di violenza ai danni di un dipendente di filiale dall'inizio del lockdown. Cento episodi, dalla frattura del setto nasale alla rottura del polso, per un mancato fido piuttosto che per un assegno non cambiato, figli di questa atmosfera pesante. Un clima che parte da lontano, perché è almeno dalla crisi del 2008 che le banche sono diventate il nemico perfetto per la politica, o il capro espiatorio, a fini strumentali. Ed è curioso che i «banchieri» siano finiti al centro del dibattito politico degli anni Dieci per questioni che oggi sono esattamente quelle opposte. Il sistema bancario italiano ha rischiato grosso fino almeno al 2016-17 per l'enorme mole di sofferenze che aveva accumulato, cioè di crediti concessi generosamente e mai più restituiti. In molti casi con l'aggravante di incestuosi intrecci di politica e potere, nazionale e locale, certo. Ma il tema delle sofferenze era molto più ampio e diffuso e riguardava l'estrema fragilità del sistema economico più bancocentrico dell'occidente industrializzato. Ecco perché, oggi, con il tema sofferenze ancora presente e importante nei bilanci bancari, e con la recessione già in casa, fa sorridere questo pressing generale dell'opinione pubblica, alimentato dal governo in carica, perché nelle filiali si conceda credito a gogò a tutti quelli che si presentano allo sportello. Come se, con o senza la garanzia dello Stato, totale o parziale, gli istituti di credito non avessero nulla da perdere. O niente da rendere conto ai loro depositanti, dipendenti, azionisti.

Tanto più che la crisi, già iniziata, avrà proprio nei bilanci delle banche uno dei suoi punti di caduta più delicati per la tenuta di tutti i Paesi europei. Lo ha ricordato ieri la Bce, che raccomanda di non sprecare nessuna risorsa, a cominciare dai dividendi. Chiediamoci perché. E smettiamo finalmente di credere che esistano pasti gratis.

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