Palermo, giustizia allo sbando. Pm preso a pugni in tribunale

Aggredito dopo una sentenza di omicidio dai familiari di due condannati

Palermo, giustizia allo sbando. Pm preso a pugni in tribunale

Pubblico ministero preso a pugni e steso dai parenti dei condannati, al termine di un processo. Familiari della vittima e avvocati di parte civile costretti a barricarsi in aula, per non fare la sua stessa fine. E giudici sequestrati, sigillati in camera di consiglio appena dopo la lettura della sentenza e fatti uscire solo una volta calmate le acque, sotto scorta, tipo gli arbitri quando lasciano lo stadio dopo una partita di calcio «calda». Non siamo in un piccolo tribunale di provincia, pochi giudici e ancor meno agenti a sorvegliare il regolare andamento delle udienze. Già, perché questa storia che sembra incredibile (e purtroppo non lo è) arriva dal Palazzo di Giustizia di Palermo. Sì, proprio uno dei luoghi più blindati d'Italia, dove si celebrano processi delicatissimi. Eppure. Eppure come a Palazzo di Giustizia di Milano, altro luogo blindatissimo, dove un anno e mezzo fa un imputato è entrato in aula con pistola ha ucciso tre persone - un avvocato, un imputato e un giudice - , ecco che la storia, sia pure con conseguenze decisamente meno gravi, si ripete. A riprova di una giustizia senza mezzi e con scarse tutele che si ritrova assediata persino dove viene amministrata. Nelle stesse aule in cui pronuncia sentenze in nome del popolo italiano. Nessun morto, per fortuna, a Palermo, tranne la dignità di una amministrazione della giustizia che suo malgrado si ritrova in balìa di criminali piccoli e grandi. Lo spettacolo degno di un film western è andato in scena venerdì, al termine di un processo per omicidio, in corte d'Assise. Un delitto, ha ricostruito il dibattimento, maturato negli ambienti dello spaccio di droga.

Il pm, Maurizio Bonaccorso, aveva chiesto la condanna all'ergastolo per i due imputati, accusati di avere ammazzato nel 2012 un fruttivendolo trentaduenne, fatto fuori con un colpo di pistola alla testa e poi dato alle fiamme. I giudici della Corte d'Assise non avevano accolto la sua richiesta, ma avevano comunque comminato ai due imputati rispettivamente 30 e 27 anni. Il putiferio è scoppiato subito dopo la lettura della sentenza. I familiari dei condannati hanno cominciato a inveire, urlare, insultare. E uno di loro si è scagliato contro il pm che stava lasciando l'aula: un pugno in pieno volto. Steso. È scoppiato il caos. I carabinieri in aula c'erano, sono arrivati anche i rinforzi, una quindicina di militari in tutto. Gli agenti hanno soccorso il magistrato, ma al tempo stesso hanno messo in sicurezza gli altri bersagli dei familiari del condannato: la vedova, che li aveva accusati, i suoi avvocati. E poi naturalmente i giudici. Le parti si sono barricate in aula. Il collegio giudicante è tornato in camera di consiglio e si è chiuso dentro. I giudici hanno lasciato la loro «prigione» dopo qualche ora, sotto scorta. Incredibile. Incredibile ma purtroppo vero. Di «intimidazioni inaccettabili» parla il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. L'Anm tuona contro il «vile attacco all'autorità giudiziaria» e punta l'indice contro la mancanza di sicurezza nei tribunali: «È forte la preoccupazione per le inadeguate e insufficienti misure di sicurezza presenti negli uffici giudiziari».

Magistratura indipendente, la corrente moderata delle toghe, chiede più sicurezza e ricorda i fatti di Milano: «Le strade del nostro Paese sono macchiate dal sangue dei magistrati. È inutile aver ricordato pochi giorni fa Paolo Borsellino se poi non si fa nulla».

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