La "parità di genere"? È una norma omofoba

Meno male che il ddl sull'omotransfobia, che equipara la discriminazione basata sull'orientamento sessuale a razza e religione, non è ancora stato approvato.

La "parità di genere"? È una norma omofoba

Meno male che il ddl sull'omotransfobia, che equipara la discriminazione basata sull'orientamento sessuale a razza e religione, non è ancora stato approvato. Già, perché altrimenti per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sarebbe stato un guaio: a legge Zan vigente, infatti, la legge che impone alla Regione Puglia la «parità di genere» nella legge elettorale (vale a dire la possibilità di votare due candidati purché di sesso differente) sarebbe stata un gravissimo atto di discriminazione. E perché? Semplice. Perché secondo il verbo della comunità Lgbt i generi non sono due ma molti di più. Si dirà: ma la norma prevede la possibilità di votare per due generi. Ma se si vuole parlare di parità, la legge dovrebbe prevedere parità di diritti a tutti i (presunti) generi. E imporre a ogni singolo partito o movimento, prima ancora che all'elettore, di avere in lista almeno un candidato gay, un candidato bisex, un asessuale, un transessuale e via dicendo. Quanti «generi» esistono secondo l'interpretazione della comunità omosessuale? Una decina, quaranta, ma cosa importa... È una provocazione? E perché mai? Più che altro è un antipasto di quello che ci aspetta se passasse la legge che punisce l'omotransfobia, un reato che - a oggi - è difficilissimo da interpretare.

Intendiamoci, esiste l'odio nei confronti degli omosessuali, degli immigrati, dei diversamente abili. È un reato terribile e pericoloso, e va punito anche severamente. Ma la legge che lo punisce c'è già, è già normata dal codice. La legge Zan, nell'idea del suo estensore, rischia di allargare il concetto di «odio» anche a una forma di espressione che metta in discussione l'esistenza «biologica» di due soli generi, proprio perché nella norma si parla espressamente di «identità di genere» come caratteristica personale da tutelare.

Eppure a sostenere questa tesi «sovversiva», in nome del precetto biblico «maschio e femmina li creò», si rischia il linciaggio. Lo sanno bene gli attivisti cattolici, del Family Day o di Pro Vita e Famiglia, vittime di minacce da parte di alcuni attivisti arcobaleno. Il cuore della questione è il rispetto della libertà, del pensiero e delle opinioni altrui: tra un po' non si potrà più sostenere che un bambino ha diritto a un padre e una madre senza urtare uno dei dogmi della religione gender, che la legge Zan vorrebbe persino poter inculcare ai bambini e ai ragazzi a scuola.

Chi difende le legittime istanze Lgbt poi è il primo a scatenare l'odio, sui social e nelle piazze, quando si discute di utero in affitto, pratica odiosa che rende la vita un bene commerciabile, tanto che la battaglia contro la gestazione per altri è appoggiata da una larghissima parte del mondo femminile. Perché le donne non vogliono essere una costola di Adamo, figuriamoci una costola del movimento Lgbt.

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