Plasma o vaccino, cosa conviene? Ecco il confronto tra punti di forza e limiti

Sembra stia nascendo una sorta di competizione tra cura al plasma e vaccino che non ha alcun motivo di esistere perché l'uno non esclude l'altro: è tutta una questione di tempi e (soprattutto) soldi. In ogni caso, entrambi hanno pro e contro, vediamo quali

Plasma o vaccino, cosa conviene? Ecco il confronto tra punti di forza e limiti

Plasma contro vaccino e viceversa: sembra una gara sportiva ma non lo è. Medici, virologi ed esperti del settore stanno creando una polemica tra chi sostiene che sia meglio il buon vecchio vaccino (che ancora non esiste) e chi è un supporter della terapia al plasma che sembra dare ottimi risultati. La verità che muove questo "tifo" da stadio sono soprattutto gli evidenti interessi economici in ambito medico. Tralasciando la questione denaro, cerchiamo di capire perché l'uno non esclude l'altro e che entrambi possono essere fondamentali nella guerra al Coronavirus, seppur con i propri limiti.

Terapia al plasma, punti di forza e limiti

Mentre l'Istituto Superiore di Sanità e l'Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) sono impegnati nello sviluppo di uno studio nazionale per valutare l'efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti da Covid-19 con un metodo unico e standard, il trattamento al quale sono già stati sottoposti alcuni malati Covid-19, soprattutto in alcune strutture ospedaliere del Nord Italia, sembra promettente e consiste nell’infusione di plasma prelevato da persone già guarite dall’infezione. Queste persone hanno già sviluppato gli anticorpi contro il virus ed è per questo che il plasma, che contiene già questi anticorpi, potrebbe fornire una sorta d’immunità che aiuta il malato a difendersi dall’avanzata dell’infezione (questo plasma viene chiamato iperimmune, come abbiamo approfondito in un focus su IlGiornale.it). La terapia, già utilizzata contro i virus di Sars e e Mers, potrebbe rappresentare soltanto una "terapia tampone" in attesa di un vaccino o di un farmaco specifico per Covid-19.

Ecco i limiti. Infatti, i limiti principali di questa pratica sono molteplici: innanzitutto, la durata. Quanto dura la protezione con gli anticorpi prelevati dal sangue di un paziente guarito? Poco, non immunizza per sempre. In più, servono tanti donatori affiché possa essere una pratica diffusa ed aiutare tante persone che lottano con Covid, e non è facile. E poi, non previene l'infezione ma la cura quando la malattia è già in atto.

Vaccino, punti di forza e limiti

Di per sè, ed è dimostrato scientificamente (al di là di cosa pensino i no-vax) i vaccini non hanno punti di debolezza: prevengono numerose gravi malattie perché sviluppano gli anticorpi ed esistono dal lontano 1796, quando il medico britannico Edward Jenner, considerato il padre dell'immunizzazione, introdusse quello contro il vaiolo. Al di là dei cenni storici, sarà fondamentale anche quello per combattere Covid-19. Sì, ma quando? Mentre il mondo fa a gara a chi arriva primo (non soltanto per la gloria), il virus avanza e non c'è ancora un'arma per disinnescarlo.

Ecco i limiti. Nella migliore delle ipotesi, il vaccino lo avremo a fine anno (è una speranza più che una previsione), ma dopo che lo avremo potrebbero passare altri mesi prima di poterne beneficiare. Non potrà essere somministrato contemporaneamente a tutta la popolazione mondiale e sarebbero agevolate (giustamente) le categorie più a rischio. Ma lo scenario peggiore è che un solo vaccino potrebbe non bastare: come sostengono molti studiosi, i coronavirus mutano spesso e volentieri, e la stessa cosa sta accadendo anche a Covid-19, come si legge sul Fattoquotidiano. Se da un lato è un'ottima notizia perché starebbe perdendo di potenza, dall'altro lato una sua mutazione potrebbe costringere la produzione di un vaccino diverso ogni anno. Inoltre, non si sa ancora con certezza se l'immunizzazione resterà per sempre oppure no, potrebbe essere comunque necessario produrne uno diverso ogni tot di tempo.

"Non c'è contrapposizione tra plasma e vaccino"

"Non c'è contrapposizione tra plasma e vaccino, sono due cose diverse e nemmeno tra me ed i miei colleghi che portano avanti questo lavoro", ha affermato il noto virologo Roberto Burioni, che prova a spegnere le polemiche innescate da alcune affermazioni sulla terapia definita da lui stesso "nulla di nuovo", facendo così scattare le ire di Giuseppe De Donno, il primario di Pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova che, insieme al Policlinico di Pavia, ha sperimentato la plasmaterapia con successo. Burioni, però, adesso getta un po' d'acqua sul fuoco e spiega che la differenza sostanziale è che il plasma lo abbiamo già a disposizione mentre il vaccino ancora non esiste. "Se fosse dimostrato che il plasma funziona sarebbe una benedizione perché potremmo usarlo istantaneamente", dice il virologo che elenca le malattie che hanno funzionato con questa terapia come la rabbia, l'epatite A e B mentre con l'Hiv non si è rivelato efficace.

Sostanziali differenze

"La differenza tra plasma e vaccino è un po' come diceva Mao: un conto è dare del pesce ad una persona, un'altra cosa è insegnare a pescare - continua Burioni con una metafora marina - somministrare del plasma è come dare del pesce a una persona, somministrare il vaccino significa insegnare a pescare. Con il plasma, la protezione dura poco e il soggetto in teoria può ammalarsi. Con il vaccino, è il soggetto a produrre gli anticorpi", afferma ancora, ribadendo che "non si escludono a vicenda ma si passano il testimone". Però, i limiti nell'immediato sono anche legati ai costi della terapia al plasma assieme ai rischi, non secondari, che si hanno prelevando il sangue da un corpo estraneo. "Tutto ciò che viene dal sangue può portare virus, nulla toglie che ci possa essere in poche persone un virus che non conosciamo e che salta fuori", spiega il virologo. Addirittura, alcuni anticorpi invece di creare beneficio possono essere dannosi "in una percentuale non trascurabile di trasfusioni".

"Procedura delicata"

Sulla stessa lunghezza d'onda anche Ilaria Capua, una delle virologhe più apprezzate dagli italiani, che mette in guardia dalla terapia al plasma perché "funziona, ma ci sono rischi come epatite e choc anafilattici. E non si può usare a casa", si legge sul Messaggero e chiarisce un altro punto. "Non è che le malattie infettive si curano con il plasma, siccome è un prodotto di derivazione umana è un po' delicato dal punto di vista della regolamentazione perché gli emoderivati hanno dei rischi - afferma la virologa - È assolutamente una procedura che funziona, ha sempre funzionato". Come ha sottolineato il collega Burioni, anche la Capua mette in guardia dai rischi legati ad epatite o agli choc anafilattici, ipotizzandone l'uso soltanto "come estrema ratio" se altre cure non funzionano ed è in pericolo la vita di un paziente.

La Capua, però, si è mostrata cauta anche sulle sperimentazioni del vaccino perché "non sarà il vaccino che ci porterà fuori nell'immediato, per fare vaccini sicuri ci vuole tempo e ci vuole attenzione".

Siamo avvisati, nell'immediato ci vorrà pazienza e convivenza con il virus, non è previsto alcun "miracolo" a breve termine. E la "lotta" è aperta nell'interesse collettivo. Si spera.

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