Il plasma dei guariti per curare i pazienti affetti da nuovo coronavirus. È l'ultima terapia, al centro dell'attenzione di medici e virologi, nella quale sono riposte le speranze per una possibile soluzione contro il Covid-19. In diversi Paesi sono state avviate sperimentazioni, ma gli interrogativi intorno a questa tecnica non sono pochi.
Come funziona la terapia col plasma
Il plasma è la parte più "liquida" del nostro sangue, composta da acqua, proteine e sali minerali. Tra le proteine, ci sono anche quelle coinvolte nella risposta immunitaria: si tratta di anticorpi, che si sviluppano dopo aver contratto una malattia. Nel plasma di un paziente guarito dal nuovo coronavirus sono presenti quelli in grado di neutralizzare il Sars-CoV-2.
Lo scorso 27 marzo, le società scientifiche Sidem (Società italiana di emaferesi e manipolazione cellulare) e Simti (Società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia) avevano pubblicato un Position Paper, in cui erano contenuti vari dettagli sulla procedura. Per attuare la terapia è necessario prelevare da donatori, guariti dal Covid-19, il plasma, che viene sottoposto a diversi test, per determinare il contenuto delle Immunoglobuline, che possono essere IgM o IgG. Le IgM sono quelle che compaiono poco dopo l'infezione e si esauriscono rapidamente, mentre le IgG sono quelle che rimangono più a lungo termine nel sangue. Una volta ritenuto compatibile, il plasma viene somministrato al paziente in una fase precoce della malattia: "La somministrazione è ottimale nei primi 7 giorni, di buona efficacia entro i 14 giorni", si legge nel documento, che suggerisce "la somministrazione di volumi da 200 a 600 ml di plasma iperimmune (corrispondenti circa a dosaggi da 8 a 10mL/Kg e fino a un massimo di 600 ml) una volta al giorno da uno a tre giorni consecutivi". In questo modo vengono trasferiti al paziente gli anticorpi necessari per combattere il COvid-19.
Secondo quanto osservato a Mantova, che sta sperimentando questo trattamento, l'efficacia sembra migliore in pazienti con una malattia polmonare grave, ma in fase precoce, che non richieda ancora la terapia intensiva: "Quelli che vanno verso l'intubazione", ha specificato Massimo Franchini, ematologo e primario del centro trasfusioni di Mantova. Nei malati in fase terminale, invece, nemmeno il plasma sembra poter essere d'aiuto.
Anche il donatore deve avere determinate caratteristiche. Deve essere un soggetto in cui sia documentata una recentissima infezione da Sars-CoV-2, ma devono essere trascorsi "almeno14 giorni dalla guarigione clinica (risoluzione dei sintomi) e dalla documentazione di negatività di due test", effettuati con tampone nasofaringeo "e su plasma/siero effettuati a 24 ore uno dall’altro immediatamente prima della dimissione del paziente (se ospedalizzato)".
Studi scientifici e sperimentazioni
L'uso del plasma iperimmune è una tecnica antica. Nel 1901, il tedesco Emil Adolf von Behring ricevette il primo Premio Nobel per la Medicina: aveva scoperto che somministrare siero contenente anticorpi contro la tossina difterica proteggeva i bambini dalla malattia allora mortale. Si tratta dello stesso principio alla base della terapia che oggi, a distanza di quasi 120 anni, si sta sperimentando contro il Covid-19. In seguito, questo metodo è stato usato contro l'influenza spagnola del 1918: una meta-analisi del 2006 aveve preso in considerazione otto studi effettuati su 1703 pazienti. Era emerso che "i pazienti con polmonite influenzale spagnola che hanno ricevuto prodotti del sangue umano convalescenti per influenza potrebbero aver subito una riduzione clinicamente importante del rischio di morte". In tempi più recenti, invece, il plasma convalescente è stato usato per trattare la Sars, la Mers (Sindrome respiratoria del Medio Oriente) e l'Ebola.
I primi studi riguardanti il Sars-CoV-2, invece, sono stati effettuati in Cina, poco più di un mese fa. Un gruppo di scienziati aveva somministrato il plasma convalescente a 5 pazienti in condizioni critiche e con sindrome da distress respiratorio acuta (Ards). I ricercatori hanno osservato un miglioramento delle condizioni dei malati, con una normalizzazione della temperatura corporea in 4 su 5 pazienti, a distanza di massimo tre giorni dalla trasfusione. Lo studio in questione si basa su numeri estremamente limitati, che non includevano controlli: non è chiaro se il miglioramento sarebbe potuto avvenire anche senza somministrazione di plasma.
Lo studio ha dato il via a una serie di ricerche e sperimentazioni in tutto il mondo, nella speranza di trovare una terapia efficace contro il Covid-19. Negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration ha approvato l'uso del plasma da pazienti guariti per il trattamento di soggetti con infezione da Covid-19 gravemente malati.
In Italia, invece, le prime due sperimentazioni erano partite all'ospedale Carlo Poma di Mantova e al San Matteo di Pavia, dove diversi pazienti sottoposti a questo trattamento hanno registrato miglioramenti. Attualmente, è in corso l'analisi dei dati raccolti dagli specialisti, che pubblicheranno i risultati su una prestigiosa rivista internazionale. Inoltre, l'Istituto Superiore di Sanità e l'Aifa, hanno annunciato uno studio nazionale comparativo e controllato per valutare l'efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti da Covid-19 con metodica unica e standardizzata.
I risultati
I risultati preliminari sull'utilizzo del plasma iperimmune sembrano promettenti e i progressi arriverebbero a poche ore dalla trasfusione. Massimo Franchini, responsabile dell'Immunoematologiae Medicina trasfusionale del Poma di Mantova definisce "sorprendenti" i "risultati visti nei casi singoli". Il primario di immunoematologia dell'ospedale di Pavia, Cesare Perotti, ha rivelato alla Provincia pavese che la plasmaterapia si è rivelata efficace, anche se non può anticipare quanti dei 52 pazienti trattati sono guariti dal Covid-19. Anche da Cina e Stati Uniti arrivano risultati incoraggianti, che fanno sperare di trovare nel plasma convalescente "un'opzione di trattamento immediatamente promettente durante la valutazione dei farmaci esistenti e lo sviluppo di nuovi vaccini e terapie specifici".
Ma la terapia presenta anche dei limiti. In primo luogo, per capire se la tecnica funziona su larga scala servono studi più approfonditi, che includano controlli e numeri elevati di pazienti. Un altro problema è legato alle tempisitche: la trasfusione del plasma viene somministrata tra i 10 e i 22 giorni dopo il ricovero e non è ancora possibile determinare se un diverso tempo di somministrazione possa avere diversi risultati. Anche la poca conoscenza del Sars-CoV-2 e le sue mutazioni potrebbero costituire un ostacolo, perché renderebbero difficile individuare la terapia più efficace. Un altro limite è legato alla quantità e alla tipologia di anticorpi presenti nel plasma del donatore: non tutti vanno bene e la carica complessiva potrebbe non essere sufficiente per una cura efficace. Infine, c'è l'ostacolo della disponibilità del siero: servono donatori, che rispodano a caratteristiche precise e che abbiano sviluppato anticorpi di una certa quantità e qualità.
Che cosa dicono gli esperti
Dalle parole degli esperti sulla plasmaterapia si percepisce un clima di cauto ottimismo. Il rappresentante italiano nel Comitato esecutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità e consigliere del ministro della Salute Speranza, Walter Ricciardi, ha definito "molto interessante e importante" la nuova terapia in via di sperimentazione: "È un approccio molto sofisticato, bisogna saperlo fare e avere grandi tecnologie- ha spiegato- Consiste nel trasferire gli anticorpi naturali da soggetti guariti e quindi immuni ad altri con forma grave. Si è visto da alcune sperimentazioni che sta funzionando".
"Massimo interesse" anche da parte di Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-ematologia e Terapia cellulare e genica dell'ospedale Pediatrico Bambino Gesù, presidente del Consiglio superiore di sanità (Css) e componente del Comitato tecnico scientifico sull'emergenza Covid-19. Ma, aggiunge, serve anche "rigore", perché "occorrerà validare i dati ottenuti con uno studio clinico controllato".
La terapia con il plasma iperimmune sta suscitando molto interesse tra medici e virologi, nella speranza che possa diventare un'arma efficace contro il nuovo coronavirus. Ma, mettono in guardia gli esperti, si tratta ancora di una cura sperimentale, che va verificata. "L'uso del plasma da convalescenti come terapia per il Covid-19 è attualmente oggetto di studio in diversi paesi del mondo, Italia compresa- sottolinea il Ministero della Salute- Questo tipo di trattamento non è da considerarsi al momento ancora consolidato perchè non sono ancora disponibili evidenze scientifiche robuste sulla sua efficacia e sicurezza, che potranno essere fornite dai risultati dei protocolli sperimentali in corso".
Servono sicuramente studi più approfonditi per capire l'efficacia della terapia con il plasma iperimmune e, in ogni caso, sono diversi gli scogli da superare
perché sul plasma iperimmune venga costruita una terapia in grado di sconfiggere il nuovo coronavirus. Tuttavia, i primi risultati fanno ben sperare e aprono la strada a una possibile terapia efficace contro il Covid-19.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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