Sono passati oltre sei mesi dall'ultimo contatto tra Giuseppe Conte e i leader dell'opposizione. Esattamente 195 giorni da quel primo aprile in cui il premier incontrò a Palazzo Chigi Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani per un confronto sulle misure per fare fronte all'emergenza Covid-19. Da allora più nulla, al netto di un tentativo di faccia a faccia ai primi di luglio, naufragato nel nulla anche per la scelta poco ortodossa del presidente del Consiglio di diramare gli inviti con timing diversi a seconda delle sue simpatie per le diverse delegazioni.
In queste settimane l'allarme coronavirus si è riaffacciato prepotentemente, e non solo in Italia. È stato prorogato lo stato d'emergenza al 31 gennaio e siamo alla vigilia di un nuovo Dpcm. Eppure non c'è al momento traccia di un canale aperto tra Palazzo Chigi e le opposizioni, tanto meno di un loro coinvolgimento sulle imminenti misure restrittive o sulla destinazione dei 209 miliardi che dovrebbero arrivare dal Recovery fund. Una questione di metodo, ma pure di merito visto che la democrazia è fatta anche di procedure e consuetudini. Però il tema non pare suscitare troppo interesse, anche se è del tutto evidente che se un approccio simile l'avesse avuto qualche anno fa un governo guidato da Silvio Berlusconi si sarebbe immediatamente aperto un acceso e sentito dibattito sul vulnus democratico.
Conte, invece, si può permettere di giocare in solitaria e tenere l'opposizione all'angolo. D'altra parte, il suo obiettivo è gestire il più possibile in autonomia le somme in arrivo da Bruxelles, sulle quali dovrà già dare di conto ai partiti che sostengono la maggioranza. Il premier, d'altra parte, sa bene che il centrodestra difficilmente potrà mettersi di traverso sul Recovery, una quantità di fondi mai vista dai tempi del Dopoguerra. Non è un caso che proprio ieri Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia abbiano deciso di astenersi in commissione Bilancio della Camera sul voto della relazione finale sulle linee guida dell'esecutivo per il Next generation Eu. Una scelta che i tre partiti d'opposizione dovrebbero confermare anche oggi nel passaggio in aula a Montecitorio e domani al Senato. Insomma, seppure per certi versi obbligato dagli eventi, un segnale di buona volontà alla maggioranza. Che Forza Italia non ha mai nascosto di volere dare, perché - è il refrain di Tajani - «su temi d'interesse generale non ha senso dividersi». E che Fdi rivendica per bocca della Meloni, visto che «siamo riusciti a fare cambiare idea al governo e ad inserire nella relazione finale uno specifico capitolo dedicato alla ricostruzione post-sisma come tema prioritario per il rilancio» del Paese. Anche la Lega ha scelto di non mettersi di traverso, ma dall'entourage di Salvini rimbalza sulle agenzie di stampa tutto il disappunto verso Conte per il mancato dialogo con l'opposizione. «Il governo continua a non ascoltarci e non coinvolgerci, in un momento come questo è una follia», è la convinzione del leader del Carroccio.
A stretto giro, un qualche segnale distensivo arriva. Non da Palazzo Chigi, ma dal segretario del Pd Nicola Zingaretti. Che, fanno sapere i suoi, «è favorevole al coinvolgimento delle opposizioni sul Recovery proprio come è accaduto con l'astensione del centrodestra in commissione Bilancio». Insomma, filtra da Largo del Nazareno, «Zingaretti in questa vicenda sostiene la posizione di Salvini». Una mano tesa all'ex ministro dell'Interno piuttosto inaspettata.
E che nel Pd - visto l'esplicito riferimento al leader della Lega, quando ad astenersi sono stati anche Fdi e Forza Italia - in più d'uno hanno interpretato come uno schiaffo a Conte. Che, almeno fino ad oggi, ha davvero fatto poco o nulla per aprire un canale con le opposizioni. E che, notoriamente, con Salvini ha un pessimo rapporto.
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