Puglia, la task force dei carabinieri ha messo ko i caporali

Tante le condizioni di schiavitù in cui non c'era rispetto per la dignità umana. Cinquantuno gli arresti da gennaio a oggi, oltre a denunce e ammende per un totale di circa 4 milioni di euro

Puglia, la task force dei carabinieri ha messo ko i caporali

"L'intervento che mi ha colpito di più è stato quando siamo arrivati in una masseria e un operaio indiano che viveva insieme agli ovini senza televisione perché per poterla vedere gli avrebbero detratto altri due euro dalla già misera paga, ci è venuto incontro in lacrime e ci abbracciati ringraziandoci di essere arrivati. Gli abbiamo dato 20 euro per poter comprare un biglietto del treno che lo riportasse in Calabria dove, ci ha confessato, riusciva almeno a sopravvivere". A parlare è un maresciallo dei carabinieri in servizio presso il comando provinciale di Taranto, comandante di una delle task force anti-caporalato messe in atto in Puglia. È la testimonianza del fatto che l'umanità non è ancora del tutto scomparsa come spesso si teme.

Parliamo di un'azione militare ben precisa, una task force come detto, una missione vera e propria, fortemente voluta dal generale di brigata Alfonso Manzo, comandante della "Legione Carabinieri Puglia" che dal primo giugno fino a settembre ha disposto cinque gruppi di lavoro per contrastare lo sfruttamento nei campi o nelle aziende dedite alla pastorizia. La prima volta in Italia che viene sperimentata un'azione così incisiva per cercare di estirpare uno dei mali della società, soprattutto in Puglia: il caporalato.

Ogni gruppo di militari era composto da circa cinque persone, uno di loro era il comandante dell'unità e gli altri sono stati scelti tra le diverse professionalità presenti all'interno dell'Arma: dai cosiddetti "conoscitori d'aria", impegnati solitamente nelle strade delle città e che quindi conoscono bene il territorio, ai militari impiegati presso l'ispettorato del lavoro, esperti, quindi, dei rapporti tra il datore ed il dipendente.

I militari sono stati dotati di droni per controllare meglio le zone interessate dall'alto, di visori notturni per poter intevenire quando il sole doveva ancora sorgere e i braccianti o gli operai lavoravano già, dei fuoristrada per muoversi con più facilità nelle strade sterrate, dei cannocchiali Swarovski per riuscire a tenere sotto controllo, fino a 50 chilometri di distanza, le condizioni di sfruttamento senza essere visti.



"I caporali quando arrivavano sui campi si riconoscevamo subito - sottolinea un altro militare - erano ben vestiti, con scarpe firmate, collane di oro al collo e Rolex al polso".
I dati raccolti al termine della task force sono da capogiro. In tutta la Regione dall'1 giugno 2019 fino a fine settembre sono state arrestate quarantaquattro persone tra caporali e imprenditori. Di questi diciasette sono stranieri. Ottantanove persone sono state denunciate, sempre tra caporali e imprenditori, di cui ventuno sono immigrati. I lavoratori controllati sono stati 343, di questi 310 sono stranieri e 29 erano clandestini. Se alla task force aggiungiamo i controlli ordinari portati avanti dall'1 gennaio 2019 i numeri crescono: cinquantuno arresti, di cui venti migranti, trentuno caporali e diciannove imprenditori; 217 le denunce in stato di libertà, 1052 i lavoratori controllati e sono state elevate sanzioni amministrative pari a 3.916.676 euro, oltre alla confisca, in alcuni casi, dei mezzi con cui i caporali portavano i braccianti o gli operai sul posto di lavoro o degli immobili dove veniva consumato il reato di sfruttamento.

Tra i cinque comandi provinciali (Bari e Bat fanno capo allo stesso comando) l'azione è stata più incisiva a Taranto con trentatré arresti (tutti convalidati e molti degli arrestati hanno chiesto il patteggiamento) dal primo gennaio a settembre. In netto divario con gli arresti avvenuti negli altri capoluoghi: due a Foggia, nove tra Bari e Bat, quattro a Brindisi e tre arresti a Lecce.

"Da un lato ci vuole la repressione, ma dall'altro ci vuole anche un cambio di cultura. È una questione di mentalità perché solo il timore della pena non fa dissuadere l'imprenditore o l'agricoltore dal non sfruttare gli operai." ha commentato il colonnello Fabio Cairo, comandante provinciale di Bari. Qui la task force era di stanza a Monopoli sotto il comando del capitano Emanuele D'Onofri e non ha riguardato solo il settore agricolo o dell'allevamento, ma anche il tessile. "Non parliamo solo di braccianti, ma di operai più in generale" ha continuato Cairo.
Per quanto riguarda la provincia di Bari gli operai si recavano spesso a lavoro a piedi o in bicicletta, lavoravano dalla mattina fino alla sera per un totale di quattordici ore di lavoro al giorno. La paga oraria non era mai superiore a 2.50 euro. In alcuni casi è stata trovata una tariffa oraria di 1.20 o 0.70 centesimi. La maggior parte di loro non potevano usufruire delle ferie. C'è chi da anni non riabbraccia la sua famiglia nel paese di origine. "Si tratta di persone che hanno bisogno di lavorare e accettano qualsiasi condizione pur di riuscire a mandare i soldi a casa" sottolineano i militari a Bari.
La condizione alloggiativa è poi uno degli indici rilevatori dello sfruttamento. Molti degli operai vivevano nelle stalle insieme agli animali che allevavano, privi dei servizi igienici. Molto spesso le persone sfruttate utilizzavano la stessa acqua che veniva utilizzata dagli animali dell'allevamento non solo per i servizi igienici, ma anche per cucinare. E questo è un aspetto che è stato riscontrato soprattutto nelle masserie o nelle campagne. La peggiore condizione è stata trovata nella provincia di Taranto dove i pastori di un allevamento preferivano dormire nella stalla perché si riscaldavano grazie allo sterco degli animali durante la notte, quando le temperature calano. Situazioni al limite dell'immaginabile. Non è differente la condizione nelle industrie. In un'azienda tessile, infatti, vi lavoravano otto cittadini tra africani e asiatici che dormivano in un seminterrato privo di finestre con una temperatura altissima d'estate e priva di servizi igienici. "Ovviamente queste condizioni erano a noi evidenti, ma sono state certificate poi dall'intervento del personale della Asl" ha specificato il colonnello Cairo.

Tante sono state le situazioni ai limiti della dignità umana riscontrate dai militari. In una delle masserie controllate, gli operai lavoravano oltre le dodici ore al giorno solo con una breve pausa prandiale. Quando si parla di retribuzione, parliamo sempre di denaro non tracciato, quindi contanti che in alcuni mesi non venivano nemmeno corrisposti. Alcuni operai non avevano neanche una paga mensile, ma ricevevano il pagamento in un'unica soluzione cumulativa.
Un altro caso estremo riscontrato dai carabinieri di Bari è stato quello di un mattatoio di un'azienda molto grande e importante per lavorazione di carni e che effettuava anche la distribuzione su grossa scala. In questa azienda lavoravano tre operai, anche loro dalle dieci alle dodici ore al giorno, addetti sia alla macellazione che alla pulizia del mattatoio. Ricevevano una paga che non era superiore a un euro e venti centesimi all'ora e dormivano in un container. Usufruivano degli stessi servizi igienici che venivano utilizzati per pulire il mattatoio. Non avevano docce e utilizzavano l'acqua prelevata dal pozzo.

Un altro aspetto di sfruttamento è l'installazione di un sistema di videosorveglianza, da parte dei caporali o dei proprietari delle aziende, per controllare i dipendenti (che dipendenti non erano). Accadeva, quindi, che gli sfruttati lavorassero in ambienti illegalmente videosorvegliati ventiquatt'ore su ventiquattro. Ogni movimento veniva registrato e controllato "e se la giornata di lavoro non soddisfava il proprietario, veniva decuratata la paga" sottolineano ancora i militari.
"Tra gli uomini che ho scelto per la task force ho voluto anche i più giovani per rincorrere nei campi braccianti e caporali", a parlare è il colonnello Luca Steffensen, comandante provinciale di Taranto. "Qui abbiamo concentrato il nostro lavoro nella zona occidentale della provincia. È la parte più vicina alla Basilicata da dove provenivano molti braccianti assoldati soprattutto nel ghetto, ora dismesso, di Metaponto(in provincia di Matera)."

La task force ha visto il plauso di molti, "Il ministro per l'agricoltura Teresa Bellanova è venuta nella provincia di Taranto per la festa dell'Unità e si è complimentata per il nostro lavoro svolto" ha sottolineato Steffensen. Anche Onofrio Rota, segretario generale della Fai Cisl, ha scritto un post su Facebook "Un forte plauso alle forze dell'ordine per il lavoro svolto. Ma occorre davvero fare di più per rafforzare le azioni di controllo, contrasto e prevenzione, e liberare una volta per tutte i territori del Mezzogiorno da un fenomeno ripugnante come il caporalato".



Ma non sono mancate le critiche. Da chi? "Da alcuni agricoltori" ha risposto il colonnello del comando provinciale di Taranto. "In molti ci hanno spiegato che non appoggiandosi ai braccianti che prestano manovalanza a basso costo il prodotto agricolo non si sarebbe mai potuto vendere ai prezzi concorrenziali imposti dal mercato e che se tutto fosse in regola il prodotto agricolo costerebbe molto di più rispetto a quanto si vende." Mettendo tutti i dipendenti in regola, con contratto, contributi, dispositivi di sicurezza, le spese, per gli imprenditori, sarebbero state più elevate e, quindi, anche il prodotto avrebbe dovuto avere un prezzo più alto col rischio di rimanere invenduto. La legge, però, non ammette giustificazioni e, soprattutto, non considera il prezzo di concorrenza. Lo sfruttamento del lavoro insomma, deve fare i conti con le leggi di mercato.

"Alla fine dell'estate è stato difficile scovare delle aziende in cui ci fossero delle irregolarità. Si era diffusa la voce che stavamo effettuando i controlli e tutti gli imprenditori hanno deciso finalmente di mettere in regola i dipendenti. Hanno capito che avrebbero guadagnato comunque, ma poco meno e che avrebbero rispettato, allo stesso tempo, la dignità umana" continuano i militari.
Oltre agli alloggi in condizioni igienico-sanitarie precarie anche le condizioni fisiche erano umanamente degradanti. Molti braccianti lavoravano senza i dispositivi di sicurezza. C'è chi indossava gli infradito, sotto il sole torrido di agosto, con le ferite in cancrena ai piedi. "Abbiamo visto con i nostri occhi cosa significa lavorare in condizioni di schiavitù e come l'uomo sia disposto a sopportare il dolore e la fatica pur di vivere" continuano i carabinieri della task force.

"Oggi molti dei braccianti ci ringraziano. Ora hanno, durante le ore di lavoro, l'acqua e un panino, oltre ad una maglietta e delle scarpe nuove" concludono, infine, i carabinieri.


La task force è stata, quindi, una manovra incisiva: massimi risultati in poco tempo e questo anche grazie alla collaborazione della magistratura. Ora si pensa di mettere in pratica la task force anti-caporalato anche in altre regioni italiane.

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