Qualche idea per la Rai dopo la tabula rasa

Lo scaricabarile di Palazzo Chigi sulle nomine Rai

Qualche idea per la Rai dopo la tabula rasa

Un vecchio amico ha definito la Rai Dead company walking rifacendosi ai condannati a morte americani prima di salire sul patibolo. Come consigliere d'amministrazione dell'azienda, spero invece che il cavallo morente di Viale Mazzini torni ad essere più vivo e vegeto che mai. È necessario però cambiare le regole del gioco del servizio pubblico. È inutile che il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli continui ad addossare al Cda quelle responsabilità che lo stesso consiglio non ha finora potuto esercitare. Fin dall'inizio era evidente una mica tanto «sotterranea» volontà dall'alto di svuotare il ruolo dei consiglieri esautorandoli, almeno in parte, nelle scelte strategiche più importanti. Lo conferma il fatto stesso che, con il varo della riforma della Rai, il direttore generale Antonio Campo dall'Orto sia diventato anche amministratore delegato con molti più poteri di prima. E solo adesso, di fronte al tiro incrociato contro Campo dall'Orto - dagli stipendi dei dirigenti al blitz d’agosto con il «siluramento» di Berlinguer & C - a Palazzo Chigi e dintorni si cerca di correre ai ripari. Come sottolineava quella vecchia trasmissione del maestro Manzi Non è mai troppo tardi ci fa piacere che qualcuno si sia oggi ricordato del ruolo del Cda.

Mi auguro che non capiti più quello che è successo nei giorni scorsi al sottoscritto: avevo chiesto di rinviare a fine agosto il varo dei nuovi direttori dei tg per riflettere e ponderare meglio i curricula dei candidati, tanto più dopo il polverone sollevato a fine luglio con la pubblicazione delle retribuzioni d’oro. Mi è stato risposto che non sarebbe stato possibile alcun rinvio perché all’inizio di settembre doveva partire il nuovo piano editoriale e quindi tutti dovevano essere ai loro posti di combattimento. Peccato che al momento siano state discusse solo le linee- guida del piano che sarà effettivamente varato non prima della fine dell’anno in corso. E, allora, perché mai tutta questa fretta? Come non dare retta a quelle voci che attribuiscono l’improvvisa accelerazione alla necessità di essere ben coperti in vista del referendum costituzionale di metà novembre? Un «Sì» vale bene un blitz. Intendiamoci, il problema non sono i nomi ma il metodo. Non nascondo di essermi sentito in questi giorni cornuto e mazziato perché, dopo essere stato respinto nel Cda, con i consiglieri Diaconale e Freccero, ho anche dovuto incassare le rampogne del sottosegretario Giacomelli che ci ha accusato di non avere esercitato appieno le nostre competenze.

A questo punto, mi verrebbe da dire à la guerre, comme à la guerre. Amici finché si vuole, ma quando c’è di mezzo il futuro di un’azienda con dodicimila dipendenti, meglio essere molto chiari: il Cda Rai intende esercitare appieno le proprie funzioni, nonostante tutti i tentativi di depotenziarlo e di confondere le acque. Un primo terreno di confronto saranno proprio i tetti dei compensi di dirigenti e giornalisti che, d’ora in poi, non dovranno più superare 250mila euro l’anno. Nulla impedisce, inoltre, di pubblicare pure i cachet degli artisti che lavorano in Rai e che sono così bravi a fare la morale agli altri.

Se c’è trasparenza, essa deve esserci sino in fondo anche perché si è dimostrato un grave errore pubblicare gli elenchi degli stipendi d’oro esattamente nel momento in cui andava in onda il teledramma del salasso sulle bollette elettriche. E non è solo un fatto formale ma una sostanziale mancanza di rispetto verso gli italiani.

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