Cantava Giorgio Gaber: «Il Conformista è un uomo a tutto tondo che si muove senza consistenza. Il Conformista s'allena a scivolare dentro il mare della maggioranza. È un animale assai comune che vive di parole da conversazione». Ancora: «E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire. Forse da buon opportunista. Si adegua senza farci caso. E vive nel suo paradiso». Sembra la fotografia di Giuseppe Conte. Un uomo siffatto, uno Zelig allo stato naturale, per restare seduto sulla poltrona a cui si è incollato, inutile aggiungere, è disposto a tutto. Se fino a due giorni fa riceveva anche l'ultimo dei senatori a Palazzo Chigi per arruolarlo nella crociata per far fuori Matteo Renzi, prometteva incarichi e addirittura di diventare vegano per compiacere al Ciampolillo di turno; appena 24 ore dopo, fallita la strategia del bastone, si è messo a vender carote da grande imbonitore ai componenti del mucchio selvaggio grillino per persuaderli ad accettare il nemico il ieri. Con la stessa foga, caparbietà, costanza con cui il giorno prima si dedicava ai responsabili. Di buon'ora ha telefonato al reggente Vito Crimi per consigliarlo, da buon avvocato d'affari, sul linguaggio da usare per evitare altri guai su al Quirinale. «Mi raccomando lo ha pregato , nessuna polemica con Renzi e i suoi. Evita spigoli. Tira via il veto su Renzi, non ne parlare neppure al passato, ma, soprattutto, lega il proseguimento dell'esperienza di questa maggioranza al mio nome».
Fin qui il principale. Il sottoposto, il portavoce Roccobello Casalino, è andato anche oltre. Ha redarguito personalmente quei grillini che avevano tirato fuori la storia addirittura annunciando un'interrogazione dell'intervista a pagamento fatta da Renzi in Arabia Saudita, proprio lui che in passato, raccontano, aveva dato dritte a più di una trasmissione della tv pubblica per crocifiggere l'«antipatico», per usare un gergo da Grande Fratello, «che tormenta il Presidente». «Amore... ha spiegato a un pasdaran 5stelle , ma ti pare che debba essere io a dirti di smetterla con Renzi. Proprio io! Ma questo non è il momento di rompergli le scatole. È talmente chiaro. La possibilità di mantenere Conte a Palazzo Chigi è legata a lui. Per cui che ci frega delle sue gite in Arabia?!». A questo punto ci manca solo che Tigellino-Travaglio, l'altro consigliori del premier, dedichi un numero monografico de Il Fatto a decantare le straordinarie doti politiche di quello che fino all'altro ieri chiamava l'«Innominato».
Potenza di quel «mix» che mette insieme disperazione e istinto di sopravvivenza. Gli echi ieri pomeriggio sono arrivati anche nella riunione del Consiglio dei ministri. Dario Franceschini, ha spalleggiato l'ultima versione di Conte al «ramoscello d'ulivo», accarezzando contropelo i ministri grillini più riottosi: «Ma che cavolo state facendo li ha sgridati -, basta polemizzare con Renzi!». Solo che la conversione repentina del premier ha lasciato il movimento senza bussola. Appena qualche giorno fa il reggente Crimi in un'assemblea di parlamentari aveva risposto duro a gente come Battelli, Vacca, Cancelleri, che avevano consigliato di smetterla con il veto sul leader di Italia Viva: «Non si riapre a Renzi!». Tant'è che il pragmatico Di Maio aveva mandato un sms sorpreso ai suoi in assemblea: «Ma che cacchio dice Crimi!». Sono trascorse 72 ore ed è arrivato il contrordine compagni che ha mandato «in stress» l'ala dura: il Dibba, leggasi Alessandro Di Battista, minaccia la scissione; la Lezzi vuole un referendum su Rousseau sull'alleanza con Renzi; Morra sbatte la porta al grido: «Non morirò doroteo!». Tant'è che, per calmare gli animi, Giuseppi ha chiesto una fatwa all'Imam Beppe Grillo contro i rivoltosi.
Peccato per Morra che il «doroteo» sia la trasposizione politica del conformista Conte. Un identikit che nel contempo pone un enigma a Renzi: ti puoi fidare di uno Zelig, capace di interpretare dieci personaggi in commedia? Di uno che due giorni fa brandiva un coltello e ora ti porge la mano? «Quell'uomo è un rebus», ama ripetere il leader di Italia Viva. Ecco perché, malgrado l'offensiva «pacifista» contiana, non è ancora detto che strada prenderà la crisi. Siamo ad un bivio e l'incarico esplorativo che il capo dello Stato ha assegnato al presidente della Camera, Roberto Fico, lo testimonia. E per come si sono messe le cose Renzi, si ritrova nei panni di Amleto, la figura che corrisponde ad ogni ago della bilancia in politica.
Dopo tutte queste prove d'amore del premier il Conte Ter, del Giuseppi Innamorato, sarebbe l'ipotesi più semplice. «Se nel frattempo non succede niente nei 5stelle e nel Pd ha spiegato ai suoi il leader di Italia Viva rischiamo di arrivare lì». Solo che se la «discontinuità» con il passato non potrà essere data dallo sfratto da Palazzo Chigi di Conte e dalla sua appendice Casalino, bisognerà garantirla con altro: «Bisognerà cambiare ragiona tra sé e sé l'Amleto di Rignano il responsabile del Mef, il guardasigilli, il ministro dell'Istruzione e il Commissario Arcuri». Insomma, l'incompetenza e mezzo mondo dalemiano. Sarebbe un'operazione di Potere, da cui Renzi potrebbe ricavare una forte ascendenza, una sorta di «golden share» sul prossimo governo. Che avrebbe, però, un costo politico non indifferente: tenersi Conte e Casalino dopo tutto questo «can can» è difficile da spiegare al suo elettorato e a quelli che hanno trovato in lui un interprete delle istanze di cambiamento. «Inoltre lo ammette mi costerebbe una rottura con l'ala moderata, con il centrodestra».
Insomma, ora che ha provato quanto può contare un partito, anche se piccolo, in un sistema parlamentare come il nostro quando si ritrova ad essere l'ago della bilancia, rischia di nuovo di essere ingabbiato in un'alleanza che ha mostrato mille limiti. Ecco perché l'ipotesi alternativa, l'altro capo del dilemma, lo tenta. Eccome. Mai come in questa crisi un pezzo di centrodestra, a cominciare da Salvini, è stato, infatti, al gioco. Ieri il leader della Lega gli ha preannunciato quello che avrebbe detto al Colle: «Diremo un No duro su Conte, parleremo di elezioni, ma lasceremo la porta aperta anche ad un'ipotesi alternativa». Una posizione che Salvini ha difeso anche di fronte alla Meloni, come conferma un esponente dell'Udc: «Matteo questa volta si è comportato da leader, ha mediato tra tutte le posizioni». In altre parole un'altra opzione c'è, il sogno di Matteo-Amleto. «Pensate quanto sarebbe bello è il ragionamento che ha fatto Renzi con il suo inner circle un governo Cartabia-Draghi con una maggioranza Ursula e l'astensione della Lega». Certo in uno schema del genere, in un governo di larghe intese, conterrebbe di meno e magari avrebbe meno margini per condizionare la partita del Quirinale. Inoltre dovrebbe trovare una formula complessa, appunto l'astensione o qualcosa del genere, per mettere insieme Lega e Pd. Ma fregiarsi del merito di aver dato una soluzione all'altezza delle emergenze di un Paese in balia di una pandemia e di una crisi economica senza precedenti, potrebbe farlo diventare un riferimento nella politica degli anni a venire.
Per cui il nuovo Amleto della politica italiana trascorrerà il tempo da qui a martedì ad arrovellarsi il cervello sul dilemma «to be or not to be»: un governo da piccolo cabotaggio come il Conte Ter o una grande sfida come un esecutivo Cartabia-Draghi.
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