Il re dei giuristi infangato dalla trattativa Stato-mafia

Morto Giovanni Conso, presidente emerito della consulta indagato a Palemro per false informazioni. Unanime il cordoglio

Il re dei giuristi infangato dalla trattativa Stato-mafia

«Morirò prima di arrivare a capire di cosa sono accusato». Ottobre 2012, un convegno a Roma. Da pochi mesi Giovanni Conso, morto la notte scorsa a 93 anni, non è più solo il «re» dei giuristi italiani, ex Guardasigilli e presidente emerito della Consulta, ma è uno degli indagati eccellenti del processo più infamante nei confronti delle istituzioni, quello di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. E con le parole riportate all'inizio, gentile come sempre, Conso risponde ai cronisti che lo interpellano su un'accusa apparsa a tutti mostruosa e che spacca anche le toghe, a cominciare da Magistratura democratica, tanto abnorme sembra: false informazioni al pm, alias bugie, per occultare notizie utili alla ricostruzione del presunto patto tra i boss e lo Stato per fermare l'escalation stragista della mafia partita nel '92 a Palermo con le stragi di Capaci e via D'Amelio e culminata nel '93 nelle bombe di Roma, Firenze e Milano.

«Morirò prima di arrivare a capire», disse allora Conso. E in effetti, malato da tempo, se n'è andato prima di vedere tanto la conclusione del processo sulla trattativa, tuttora in corso in primo grado, tanto l'inizio del suo processo per false informazioni al pm (condizionato dalla fine del dibattimento principale), che a questo punto non comincerà nemmeno. Eppure. Eppure un personaggio del calibro di Conso una giustizia celere che spazzasse via le ombre mentre era ancora in vita l'avrebbe meritata. Anche perché i sospetti e i veleni che gli hanno ammorbato gli ultimi anni vengono dopo una vita intera spesa al servizio della legge, dello Stato, della cultura. Torinese, professore ordinario di procedura penale nelle università di mezza Italia, avvocato, diventa giudice costituzionale nel 1982, scelto da Sandro Pertini, e presiede la Consulta tra il '90 e il '91. Fa anche parte del Csm, ne è vicepresidente, nel 1992 entra pure in corsa per il Quirinale. E poi gli incarichi culturali, la presidenza dell'Accademia dei Lincei.

Fatale, per Conso è stata la politica attiva. E quell'incarico di ministro della Giustizia ricoperto in un annus horribilis sia sul fronte Tangentopoli sia sul fronte mafia: il 1993, governi guidati da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi. Al nome di Conso, per quanto riguarda Mani pulite, si lega il decreto ribattezzato «colpo di spugna», con cui si depenalizzava il finanziamento illecito ai partiti, poi bloccato dal Quirinale. E a una decisione di Conso fa capo quella che per i pm di Palermo rappresenta quasi la «pistola fumante», la prova che la trattativa Stato-mafia ci fu davvero: il mancato rinnovo del 41 bis (il regime di carcere duro) a oltre 300 detenuti per mafia. «Non ci fu alcun retroscena in quella scelta, decisi io, in solitudine», ha sempre sostenuto Conso. Ma i pm di Palermo non gli hanno creduto. E a giugno del 2012 lo hanno messo sotto inchiesta.

Non ce l'ha fatta nemmeno a deporre al processo sulla trattativa, Conso, al contrario di Napolitano, che invece i pm di Palermo hanno fatto a testimoniare da capo dello Stato. Citato nel febbraio scorso, Conso non si è presentato per motivi di salute.

Unanime ora il cordoglio per la sua scomparsa, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Napolitano al Guardasigilli Andrea Orlando. La camera ardente è nella sede della Consulta. I funerali di Stato domani a Roma, nella basilica di Santa Maria degli Angeli.

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