Per Nietzsche «la felicità è l'oblio». Chi non sa dimenticare il passato, «non saprà mai in che cosa consista la felicità; peggio: non farà mai nulla che renda felici gli altri». E ciò vale anche per la vita delle società e degli Stati. Viviamo entro una pletora di ricordi e di memorie, il peso del passato ci schiaccia, il morto afferra per i piedi il vivo e lo porta con sé. E mentre il resto del mondo avanzato discute di intelligenza artificiale, qui ci dividiamo su eventi occorsi mezzo secolo fa, come gli anni di piombo, o, addirittura, ottanta, tipo la Resistenza. Come se negli anni Sessanta, in pieno boom, l'Italia avesse ancora la testa rivolta alla prima guerra mondiale o addirittura al Risorgimento.
La memoria è importante, ma non può monopolizzare il discorso politico. Così, se bisogna per forza ricordare, vi sono due modi per farlo. Uno è quello di riprodurre i conflitti del passato nel presente, mantenendone in vita i fantasmi. L'altro è di riconoscere che una stagione è finita, ed uscire finalmente dal Novecento. Il primo atteggiamento ci pare prevalente a sinistra.
Quando Schlein afferma, ad esempio, che la storia non si può riscrivere e che vi è una sola interpretazione della Resistenza, sbaglia due volte: la prima, metodologicamente, perché la storia è sempre revisione, come riteneva un grande storico antifascista, Gaetano Salvemini; altrimenti avremmo la storia di Stato, come nei regimi fascisti e comunisti. Ma Schlein sbaglia anche politicamente, perché fa credere di essere la reincarnazione dei partigiani contro un fascismo inesistente, che però la sinistra addita in chi sta al governo, a cominciare da Giorgia Meloni. E se poi spuntasse qualche testa calda che la prende sul serio? In fondo, la violenza rossa degli anni Settanta partiva proprio da una interpretazione delirante della missione «antifascista». Coloro che esattamente cinquant'anni fa bruciarono vivi i membri della famiglia Mattei, a Primavalle, credevano di essere antifascisti, anche se erano solo dei criminali.
Proprio l'anniversario di quell'orrendo evento ha portato la presidente del Consiglio a un commento che mostra come si possa custodire la memoria, ma andando oltre il Novecento: quando spiega che furono anni orribili perché l'avversario era considerato un nemico da abbattere, in cui dominavano i «cattivi maestri» (anche all'estrema destra), e quando invita alla pacificazione nazionale.
Quelle di Meloni ci paiono parole meglio proiettate verso il futuro, rispetto a uno stantio invito a «non riscrivere la storia». Di questa si occupino gli storici: i politici pensino ad amministrare e, se all'opposizione, a proporre misure concrete, buone per oggi e non per una ottantina di anni fa.
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