La famiglia Riva, gli ex proprietari dell'acciaio di Taranto, saranno per sempre colpevoli, per una certa opinione pubblica. Nonostante siano stati sempre assolti dai Tribunali. Ieri anche la Corte di appello di Milano ha stabilito che Fabio Riva, uno dei quattro figli di Emilio, non è un bancarottiere. Assolto dall'accusa, per la quale era stato già liberato in primo grado, di aver portato al fallimento il gruppo siderurgico. In pochi sanno che alla famiglia e ai dipendenti è stata sottratta un'azienda per un presunto «disastro ambientale» che nessun Tribunale ha mai certificato con sentenza. Neanche di primo grado. Il processo di Taranto ancora non ha un colpevole. Eppure i Riva ne sono usciti decimati, in termini di reputazione, e in salute. La cosa sarebbe, a parte i profili del diritto, anche poco rilevante per il Paese, se non coinvolgesse una delle industrie strategiche per la nostra economia.
Gli altoforni di Taranto gestiti dalle società pubbliche fino al 1995 erano un disastro sia economicamente che ecologicamente. Furono rilevati dai Riva ad un asta, che li vide prevalere sulla agguerrita concorrenza di un altro grande dell'acciao, Lucchini. Arrivarono i Riva che non solo resero profittevole l'azienda, ma la ingrandirono, rispettando tutte le prescrizioni ambientali, come sta dimostrando il processo di Taranto. L'azienda gli fu poi tolta con una serie di colpi di mano della magistratura, avallati da una politica debole, coperti dall'indignazione pubblica e da una Confindustria (eccetto l'acciaiere Gozzi) fatta di nani. E così, per arrivare ai giorni nostri, quella che era la più grande acciaieria di Europa è finita ad Arcuri, passando per i lezzi dei grillini che vedevano Taranto come un gigantesco campo di coltivazione di cozze.
In mezzo alla partita industriale, si è poi inserita la procura di Milano. Con un'ipotesi, poi rivelatasi fantasiosa, ha cercato di sostenere che i Riva avessero mandato in bancarotta la loro azienda. Ieri per la seconda volta il tribunale ha detto che ciò è falso. Ma quell'accusa è stata fondamentale per ottenere un ulteriore esproprio, pari alla bellezza di 1,2 miliardi. È quanto i Riva hanno dato allo Stato e dirottato a Taranto, dove sono stati bruciati dalla gestione commissariale. Derivavano da una montagna di soldi detenuti all'estero, poi scudati, e sui quali la procura voleva vederci chiaro. Guido Rossi, allora ingaggiato dalla famiglia, fece un patto stragiudiziale con la Procura: i Riva versano, senza chiedere spiegazioni, e la Procura si sarebbe astenuta dal far fallire tutto il gruppo. Così Claudio Riva, uno dei fratelli, salvò la parte elettrica del business, fatto da forni che oggi sono diventati leader europei. Fatturano 3,2 miliardi, hanno circa il 10 per cento del mercato, e dimostrano come la famiglia sia fenomenale nella gestione di questo business.
Ieri la Corte di Appello li ha assolti, ma l'opinione pubblica, ingannata negli
anni, ritiene ancora che il disastro Ilva dipenda da loro. Una brutta storia giudiziaria e un pezzo dell'economia italiana che non c'è più. Per colpa di un'inchiesta che ha fatto solo danni. E per la quale nessuno pagherà.
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