Salvate Trump dalla sindrome dello sconfitto

L' arte della vittoria si impara nelle sconfitte. È un vecchio detto che Donald Trump sembra non conoscere

Salvate Trump dalla sindrome dello sconfitto

L' arte della vittoria si impara nelle sconfitte. È un vecchio detto che Donald Trump sembra non conoscere. I suoi ultimi giorni alla Casa Bianca hanno il tono cupo di ogni scena da fine impero, ma senza nulla di grandioso e con un tocco quasi grottesco: poco Macbeth e molto Ubu Re.

Il presidente, sempre più isolato e abbandonato da fedelissimi come il segretario di Stato Mike Pompeo e il procuratore generale William Barr, si circonda di una corte di «Dottor Stranamore» della politica: chi invoca la legge marziale per rifare le elezioni, chi denuncia un complotto venezuelano che sarebbe stato in grado di sovvertire l'esito del voto. Poco importa che una cinquantina di tribunali abbiano messo il loro timbro sul risultato finale. Non conta nulla che i maggiori esponenti del Partito repubblicano abbiano deciso di voltare pagina. Certo, è possibile, perfino probabile, che ancora una volta, Trump interpreti al meglio il pensiero del pubblico più fedele. Solo qualche settimana fa l'80% dei suoi elettori pensava che il voto fosse stato «rubato». Qualcuno avrà cambiato idea, la maggioranza no di sicuro. Il presidente ha sempre dimostrato di sapere mobilitare la base e nulla dice che abbia perso il tocco magico. Ma un addio poco dignitoso potrebbe precludergli per sempre un altro pubblico, quello ideologicamente meno motivato. Nella tornata elettorale di novembre, grazie ai suoi 74 milioni di voti, Trump è stato il candidato repubblicano più votato della storia. Ma Joe Biden ha preso 7 milioni di voti in più: nessuno, in nessuno dei due partiti, ne aveva mai presi così tanti. E quanto al distacco verso il rivale, negli ultimi 20 anni solo Obama nel 2008 aveva saputo fare meglio. Le alchimie dei collegi elettorali potranno mascherare il divario, ma per recuperare voti i repubblicani dovranno (anche) guardare al centro. E se Trump, come si dice, ha intenzione di ricandidarsi nel 2024, non può non pensarci. Nel suo percorso ha abbattuto molti tabù consolidati della politica Usa.

Ora potrebbe decidere di mettere alla prova l'ultima trincea della religione civile americana: la sacralità del passaggio di un potere democraticamente attribuito. Con Donald tutto è possibile. Ma tutto fa anche pensare che la sua credibilità per il domani dipenderà da come saprà lasciare la scena oggi.

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