Giorgia Meloni ha lanciato l'idea di un partito conservatore in Italia. Ipotesi intrigante, con interessanti riferimenti culturali e con spunti programmatici di buonsenso, a cominciare dalla proposta (condivisa anche da Forza Italia) di rivedere l'impostazione del Pnrr, che non può essere incentrata solo sull'economia «green» visto che la guerra in Ucraina ci sta costringendo a ricorrere addirittura al carbone. Fin qui tutto bene. Solo che l'esperienza di Fratelli d'Italia non può essere slegata da quella dell'intero centro-destra. Sempreché l'obiettivo rimanga quello di vincere le elezioni e governare l'Italia. Obiettivo raggiungibile, visto che la matematica non è un'opinione, solo se i partiti della coalizione avranno ancora un destino comune. Basta togliere, infatti, Forza Italia, la Lega o Fratelli d'Italia (e magari pure le diverse anime centriste) e lo schieramento non avrebbe più la maggioranza del Paese. Tutti sono indispensabili, nessuno escluso. È un dato di fatto, incontestabile, che ha sempre guidato la politica inclusiva di Silvio Berlusconi.
Questo è l'interrogativo vero a cui non ha dato una risposta finora la Meloni. E non bastano le parole, visto che l'unità del centro-destra, magari con accuse di sabotaggio reciproche, è uno dei leitmotiv che più ricorre nei discorsi dei tre leader. C'è bisogno, invece, di comportamenti coerenti che salvaguardino l'alleanza e non alimentino gli egoismi dei singoli partiti. La situazione, infatti, è paradossale. Da anni, da quando gli italiani hanno scoperto il bluff grillino, il bacino elettorale della coalizione sfiora il 50% o, comunque, raccoglie la più alta percentuale di consensi. Eppure l'ultima vittoria elettorale del centro-destra risale a prima del Covid, cioè alle elezioni regionali del 2018. Da allora, soprattutto per divisioni e polemiche interne, solo insuccessi. Fino alle prove disarmanti date nelle ultime comunali a Roma e Milano.
E il futuro, se non ritornerà il senno, non appare roseo: si ipotizzano le formule più diverse, si passa dalla moda dei sovranisti a quella dei conservatori, si ingaggiano duelli per le leadership come quello che va avanti da più di un anno tra Salvini e la Meloni (con episodi paradossali), ma l'epilogo rischia di essere sempre la sconfitta. Anche la vicenda siciliana, un susseguirsi di alti e bassi, di accordi e rotture sui nomi, è spunto per una attenta riflessione. La verità è che se la follia di questi anni continuasse, se questa inclinazione al masochismo non venisse meno, potrebbe determinare una rottura tra la coalizione e i suoi elettori. Perché diventerebbe inspiegabile l'ennesimo insuccesso, quando sulla carta si hanno i numeri per imporsi: le vittorie aggregano, le sconfitte dividono.
A quel punto non ci sarebbero più leadership da contendersi, ma resterebbe solo da calare il sipario su un'esperienza quasi trentennale e pensare ad altro. Facendo un torto, soprattutto, a quegli elettori che ci hanno sempre creduto.
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