Lo Stato sfregia il milite ignoto: ossa dimenticate in una scatola

Lo scheletro di un apino morto durante la Grande Guerra e recuperato nel 2015 nelle Dolomiti non ha ancora una tomba per colpa della burocrazia

Lo Stato sfregia il milite ignoto: ossa dimenticate in una scatola

Un mucchio di ossa che dovrebbero ottenere il giusto onore. Un femore, un cranio, le costole che raccontano e ricordano la storia di un uomo, forse un ragazzo, morto al fronte per "fare l'Italia". Lo scheletro e gli scarponi di un "milite ignoto" della Grande Guerra ritrovati nel luglio del 2015 e ancora sommerso dalle scartoffie della burocrazia.

Che smacco. Per 100 anni questo giovane soldato se ne è rimasto sommerso dalla ghiaia delle Dolomiti senza una degna sepoltura. Poi quando nella primavera del 2015 è stato ritrovato per caso sotto la Cima di Costabella sulle Dolomiti, tra la Marmolada e il Passo di San Pellegrino, da Livio Defrancesco, sembrava arrivato il momento che l'Italia gli rendesse finalmente onore. Come merita.

Eppure i suoi resti sono rimasti in uno scatolone nella caserma della compagnia dei Carabinieri di Moena. L'istituto interforze denominato "Onorcaduti" avrebbe dovuto occuparsi della sepoltura, ma non lo ha fatto. Per il ministero della Difesa, a quanto pare, i caduti della Grande Guerra, i giovani che versarono il loro sangue per la Patria, non possono prevalere sulla burocrazia.

Il milite ignoto faceva parte della 206.a, battaglione Val Cordevole, settimo reggimento al guidata dal capitano Arturo Andreoletti. Un grande alpinista, come ricorda Repubblica, "che ebbe il fegato di mandare a quel paese il generale Peppino Garibaldi per gli ordini che dava". Dal femore recuperato sotto la Marmolada pare che il giovane soldato fosse molto alto per il suo tempo, intorno al metro e ottanta. Probabilmente cadde da un dirupo e si ruppe la testa. Nell'inverno del 1916 caddero 18 metri di neve sulle Dolomiti e i soldati rimasero lì a difendere le posizioni.

"Ero sotto la cima di Costabella a fare manutenzione dei sentieri - racconta a Repubblica il ritrovatore, Livio Defrancesco - e ho visto delle scarpe chiodate, tipiche di quella guerra in montagna. Le ho prese in mano e ho sentito che dietro venivano i piedi, la gamba, il corpo. Le ossa erano perfette, grandi più del normale.

Accanto al corpo, un arpione per far sicurezza ai compagni, una gavetta e una bomba a mano. Niente piastrina di riconoscimento. L'elmetto era spezzato. Era stato chiaramente portato via da una valanga o da una frana".

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