"Terapie intensive al collasso" Arcuri smentito dai rianimatori

ll presidente della Siaarti sbugiarda Arcuri: "Solo il ventilatore non salva la vita". Crisanti: "Più posti si creano più il virus si diffonde"

"Terapie intensive al collasso" Arcuri smentito dai rianimatori

A 24 ore dalle rassicurazioni del commissario per l'emergenza Domenico Arcuri arriva, puntuale, la smentita. "Viene affermato che la pressione sulle terapie intensive sia sostenibile ma in realtà nelle regioni a zona rossa la pressione è quasi insostenibile e in quelle arancioni è molto, ma molto pesante. Sostenere che 10.000 ventilatori possano garantire un sufficiente margine per sostenere questa crescita esponenziale di ricoveri in terapia intensiva significa pensare che basti saper accendere un ventilatore per salvare una vita. Purtroppo non è cosi", dice in un videomessaggio mandato in onda ad Agorà, su Rai Tre, Antonio Giarratano, presidente Siaarti (Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva). Insomma, la pressione sulle terapie intensive c'è e pesa parecchio. E i rianimatori non ci stanno: sbugiardano a stretto giro l'ottimismo del supercommissario.

Le dichiarazioni "incriminate" di Arcuri

Dopo i dati del bollettino del 16 novembre, Arcuri ci aveva provato a stemperare il clima di preoccupazione. "In Germania a marzo c'erano 30 mila posti di terapia intensiva, sei volte di più che in Italia, dove erano 5 mila; al picco abbiamo avuto nel nostro Paese circa 7 mila pazienti in rianimazione, duemila di più della totale capienza dei reparti. Oggi abbiamo circa 10 mila posti di terapia intensiva e arriveremo a 11.300 nel prossimo mese. Attualmente ci sono circa 3.300 ricoverati in terapia intensiva, quindi la pressione su questi reparti non c'è", spiega, come riporta Ansa, il commissario all'emergenza Covid Domenico Arcuri alla conferenza "Finanza e sistema Paese un anno dopo'' della Digital Finance Community Week. Ma secondo Arcuri le difficoltà del sistema sanitario sono da imputare alla portata eccezionale della pandemia. "Il coronavirus - aggiunge - rappresenta la grande emergenza degli ultimi 70 anni: il virus ha colpito 1 cittadino su 51 e determinato oltre 45mila morti. Sono numeri impressionanti. L'emergenza ha messo a nudo le fragilità del sistema, ma ha anche messo in evidenza straordinarie capacità spesso sconosciute e inaspettate".

L'affondo di Crisanti e il paradosso delle terapie intensive

Il direttore di microbiologia e virologia all'Università di Padova Andrea Crisanti non tarda a dire la sua sulle affermazioni "fuori fuoco" del commissario Arcuri, secondo il quale le terapie intensive non sarebbero ora sotto pressione. "Un posto di terapia intensiva - tuona il virologo su Agorà - non si crea solo accendendo un ventilatore. C'è dietro tutta una struttura, ci sono competenze difficile da moltiplicare. Perché non si moltiplicano i letti senza utilizzare infermieri e rianimatori. Un rianimatore ci vogliono anni a formarlo, e più posti letto segue, più è difficile per lui curare i pazienti". E, in più, secondo il professor Crisanti non sempre, per "paradosso", aumentare i posti in rianimazione è un vantaggio: "Più posti aggiuntivi si creano nelle terapie intensive meno pressione c'è e più il virus si diffonde. Così facendo, alla fine della pandemia, si scoprirà che le regioni con più posti in rianimazione avranno fatto più morti".

"Nuovi posti: ma chi assisterà questi pazienti?"

Alle parole di Arcuri sulle terapie intensive, replica anche Federico Gelli, presidente della Fondazione Italia in Salute: "Come ripetuto più volte dagli stessi anestesisti rianimatori, non basta un singolo ventilatore per fare un posto di terapia intensiva. Detto questo, non si può non tenere conto anche del tasso di occupazione dei pazienti non Covid presenti in quei reparti. Le altre patologie non sono scomparse per magia". E, in linea con il paradosso sollevato da Crisanti, rimarca come l'attivazione di circa 11mila posti letto crei un problema: "Chi assisterà quei pazienti vista la carenza di specialisti?".

"La situazione è peggio che a marzo"

Anche per Alessandro Vergallo, presidente dell'Associazione anestesisti rianimatori Aaroi-Emac, i conti non tornano. "Non ci sono dati specifici - ha spiegato all'Agi - i numeri di cui disponiamo sono quelli che vengono comunicati ufficialmente. Non sappiamo quante persone muoiono in terapia intensiva e quante fuori. Bisognerebbe fare un'istantanea delle terapie intensive in un determinato momento". Intanto, la sensasazione è che "la pressione sia la stessa della prima ondata". E a fronte delle dichiarazioni rassicuranti del commissario Arcuri che garantisce oltre 10mila posti in terapia intensiva, non usa mezzi termini."Di certo c'è che in molte regioni si è superata la soglia di allarme delle terapie intensive con oltre il 40% dei ricoverati Covid. E se sulla carta vengono riconvertiti 10 letti di medicina in posti di terapia intensiva allora non siamo d'accordo. Non si risolve mettendo un ventilatore davanti a un letto", ha tuonato il presidente di Aaroi.

Non solo, per Vergallo la situazione sarebbe addirittura peggiore a quella della prima ondata: "Il carico sulle terapie intensiva è uguale, quello sull'ospedalizzazione è anche maggiore e questo perchè moltissimi pazienti che si rivolgono ai pronto soccorso presentano un quadro che andrebbe trattato a casa.

L'aspetto positivo è che questo fa sì che si intervenga prima e si anticipino le cure, quello negativo è che aumenta il carico perchè molti pazienti si rivolgono all'ospedale perché manca la medicina territoriale".

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