Adesso lo sai. Se hai un'azienda e non riapri è perché sei pigro, uno scansafatiche, uno che vive alle spalle del contribuente, peggio, molto peggio, di un poveraccio con il reddito di cittadinanza. Parola dell'Inps o di chi ne fa le veci. È come buttare benzina sul fuoco. Non è una gaffe. Non sono quattro frasi di troppo buttate lì con leggerezza. È mettersi a nudo e svelare come un certo mondo vede chi ha un'impresa, un negozio, un laboratorio artigianale. È tutta gente di cui non ci si può fidare. Se piangono miseria è perché sono furbi. Se falliscono è per non pagare le tasse. Nessuna pietà.
Pasquale Tridico, presidente dell'Inps, è stanco di piagnistei. Lo dice in un'intervista a Repubblica. Fa prima una promessa: «Entro lunedì la cassa integrazione sarà liquidata a tutti». Ci sono stati ritardi, ma sono cose che capitano. Poi, spazientito, carica a testa bassa: «Perché ci sono aziende che non ripartono? Per pigrizia, per opportunismo, magari sperando che passi la piena e il mercato riparta come prima. In alcuni settori ci possono anche essere imprenditori che non affrontano le difficoltà della riapertura tanto c'è lo Stato che paga l'80 per cento della busta paga. Adesso basta scrivere Covid e noi paghiamo, senza controlli, senza burocrazia, senza sindacati».
Tridico non mostra le prove, ma deve avere dei sospetti. Non indizi, sospetti. Solo che così sta sparando nel mucchio. Non è un pregiudizio. È qualcosa di più profondo: una visione del mondo. Non si fida di chi fa impresa e non è il solo in questo strano Paese dove molti continuano a vedere nella figura del «mercante» un peccatore. La lunga quarantena sembra aver ridato vigore a questa idea. Fermiamoci un attimo, però, e rivediamo i mesi passati.
Il contagio ha stravolto la vita quotidiana di tutti. Il governo ha ripetuto a lungo «non lasceremo indietro nessuno». La resistenza al virus ha avuto costi sociali ed economici altissimi. Lo Stato ha detto «state a casa». Tutto ciò che non era necessario è stato chiuso. Non si produce, non si lavora, non si vende, non si guadagna. I costi vivi intanto continuavano a correre. Non è stato facile. Gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani non hanno avuto scelta. Si sono adeguati, qualcuno bestemmiando, altri con rassegnazione, molti contando le notti, con quell'ansia che ti teneva sveglio, con la paura di non sapere come riaprire. Hanno chiuso per decreto, per legge, per dovere, perché comunque non vivevano sulla luna e hanno visto i morti. Ora il presidente dell'Inps gli dice in faccia che chi non ce la fa, chi si è arreso, chi non sa dove trovare i soldi non è soltanto un vigliacco. È uno che ci marcia. Lo dice senza pietà, magari giustificandosi di essere stato frainteso, il suo discorso è diretto solo a quel manipolo di scellerati e furbastri che ci sono ovunque. Peccato che questo discorso va dritto al fegato di ogni singolo imprenditore, di chiunque rischia tutti i santi giorni di ritrovarsi in ginocchio. È uno schiaffo a mano aperta. Fallire non è solo una questione economica. È qualcosa che ti porti sulla pelle, una cicatrice che a volte è lunga come una vita, perché ha a che fare con i tuoi morti, con il tuo passato, con l'azienda o il negozio dove hai investito non solo denaro, ma tempo, affetti, risorse mentali e fisiche. Qualcosa che spesso ti tiene lontano da affetti e passioni. Qualcosa su cui ti giochi tutto. Chissà se Tridico lo sa?
Il presidente dell'Inps dice anche un'altra cosa: non si può abbassare il livello della burocrazia. Non si può perché questa gente è inaffidabile. Niente aria, niente rinascita, tutto come prima, peggio di prima. Perché uno si permette di chiudere? Per vivere a sbafo. Non si interroga sulla realtà del dopo virus. Basta un piccolo esempio.
Prendiamo uno che ha un albergo. I turisti saranno merce rara. Riapro per tre camere? A volte conviene restare chiusi per limitare i danni. No, per l'Inps ti devi sacrificare, possibilmente senza un lamento. Fino all'ultima goccia di sangue.
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