Vedono fascisti pure nei parastinchi. Scoppia la bufera su Biraghi

Le telecamere inquadrano il terzino. I social puntano il dito: "Simbologia fascista". Ma la frase era di un barbaro. E con Che Guevara nessuno protesta

Vedono fascisti pure nei parastinchi. Scoppia la bufera su Biraghi

Alla fine si parlerà più del parastinco di Cristiano Biraghi che della sonora sconfitta dell'Inter contro il Barcellona. La Champions evapora? Ci pensa Twitter a spostare l'attenzione altrove. In questo caso sulle gambe (non depilate, ne va dato atto) del difensore nerazzurro. Le telecamere di Sky ieri sera l'hanno pizzicato mentre si infilava le protezioni personalizzate. Sono nere, con una scitta latina ("Vae Victis") e un elmo stampato sopra ad uno scudo tricolore. Secondo alcuni, si tratta di tipica simbologia "fascista". E così è scoppiata la polemica.

Non sappiamo se Biraghi è un nostalgico del Ventennio. Non sarebbe certo né il primo né l'ultimo calciatore con simpatie per la destra. Ricordate - per esempio - Paolo Di Canio e il suo braccio teso sotto la curva della Lazio? Ecco. Ma da qui a definire "fascista" un parastinco, ne passano di camicie nere sotto i ponti. Peraltro, sui social dell'interista si trova qualche indizio che lascia intendere una certa passione per le frasi in latino e la simbologia antica, ma nulla che lo avvicini a CasaPound. L'anno scorso, per esempio, condivise su Instagram la foto dei nuovi parastinchi in vista della stagione con la Fiorentina: sul primo appare la scritta "Sara Victoria", sull'altra un fascistissimo "mai domo". Anche i pettorali di Biraghi rischiano la censura: sopra gli (inviadibili) muscoli svettano due elmi corinzi con cresta e (di nuovo) l'incriminata frase "vae victis".

Qual è il problema? Secondo Rep (e altri) i caratteri utilizzati sarebbero "ormai associati al fascismo". Ora, l'idea che la tipologia del font utilizzato possa definire chicchessia fascista o antifascista ci pare già un'esagerazione. Tipica di chi cerca di trovare fan di Mussolini un po' ovunque. Ancor più assurdo ci sembra stigmatizzare legionari, gladiatori o gli spartani delle Termopili come antenati delle camicie nere o padri nobili di Forza Nuova. Per quanto riguarda "Vae Victis" (guai ai vinti), va ricordato che l'esclamazione viene attribuita da Tito Livio a Brenno, capo dei Galli Sénoni che invasero Roma nel 4° secolo a.C. A pronunciarla non fu quindi Mussolini o un gerarca, ma un barbaro.

Se poi l'estrema destra si è appropriata delle simbologie romane e greche, se ogni frase latina che invita a non arrendersi e a non essere "mai domo" viene assocuata ai fasci di combattimento, non è mica colpa di Biraghi. Al calciatore però regaliamo un consiglio non richiesto: la prossima volta, sui parastinchi si faccia incollare il volto stilizzato di Ernesto Guevara.

Col tatuaggio del Che sono scesi in campo Diego Armando Maradona, Juan Sebastian Veron, Fabrizio Miccoli. E nessuno s'è mai lamentato. Per finire, invece di "Guai ai vinti", il terzino si tatui addosso "Hasta la victoria siempre", magari poco sopra il lato B come Gonzalo Higuaìn. Allora sì che nessuno twitterà alcunché.

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