Quella sentenza che smentisce il verdetto choc sull'Aquila

Una sentenza attribuisce un "corcorso di colpa" alle due studentesse morte dopo il crollo di una palazzina durante il terremoto del 2009. L'altra smentisce: "Non potevano prevederlo"

Quella sentenza che smentisce il verdetto choc sull'Aquila

Maria Urbani, 20 anni, e Carmen Romano, di 21, morirono a seguito del crollo di una palazzina al civico 6B in via Campo di Fossa durante il terribile terremoto a L'Aquila, il 6 aprile 2009. Per il giudice del Tribunale del capoluogo abruzzese, Monica Croci, le due ragazze avrebbero avuto "una colpa in concorso" - scrivono i giornalisti Marcello Ianni e Stefano Dascoli sulle pagine de Il Messaggero - sulla tragica fatalità che le travolse. Una sentenza paradossale che ha scatenato le dure polemiche di molti. Senza contare che un altro magistrato, Emanuele Petronio, giusto un anno fa, aveva stabilito che le giovani "non potevano prevedere che l'edificio sarebbe crollato". una tesi che smentisce clamorosamente la sentenza choc degli scorsi giorni.

Le due sentenze

Le due studentesse, così come altre 27 persone, furono inghiottite dalle macerie. Al riguardo, il giudice Petronio era stato chiaro: "Mancando di conoscenze tecnico-specialistiche, la popolazione non aveva alcun elemento per poter ritenere che a una prima scossa ne sarebbe potuta seguire una successiva più potente a così breve distanza temporale", chiariva il magistrato in una sentenza risalente all'aprile del 2021. Conclusioni evidentemente non condivise dalla collega che, invece, ha ritenuto "fondata l'eccezione del concorso di colpa delle vittime, costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire - così privandosi della possibilità di allontanarsi immediatamente dall'edificio al verificarsi della scossa - nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6, concorso che può stimarsi nella misura del 30 per cento, con conseguente proporzionale riduzione del credito risarcitorio". In buona sostanza, secondo il giudice Monica Croci le due ragazze furono imprudenti quando decisero di restare all'interno dell'abitazione nonostante vi fossero state due scosse, una di magnitudo 3.9 e l'altra di 3.5, che preannunciarono quella di magnitudino Richter 6.1 (la principale). Dunque, ne avrebbero pagato le conseguenze con la loro stessa vita.

La tragedia

Nella palazzina di via Campo Fossa morirono ben 27 persone. Tra queste vi erano anche Maria e Carmen. Le due ventenni si erano trasferite dalla Campania - erano entrambe originarie del Beneventano - a L'Aquila per studiare all'università. La prima si era iscritta a Ingegneria e il giorno dopo il sisma avrebbe dovuto sostenere un esame; l'altra frequentava Economia e Commercio e la settimana prima della tragedia aveva fatto ritorno a casa per paura delle continue scosse. Poi, però, la domenica precedente al terremoto decise di rientrare nel capoluogo abruzzese. Maria e Carmen condividevano la stessa stanza, morirono insieme.

L'indignazione degli Aquilani

La tesi sostenuta dal giudice Croci ha sollevato un'ondata di polemiche senza precedenti. Appresa la notizia, gli Aquilani si sono riversati in strada, e sui social, per protestare. Al "Parco della Memoria" è stato organizzato un sit-in e la contestazione promette di allargarsi nei prossimi giorni e con i legali delle famiglie già pronti a impugnare il verdetto in Appello.

"Vergogna!"; "Uccise da un secondo terremoto", tuona la folla. E ancora: "Uno schiaffo alla memoria". Nel sisma del 2009 morino 309 persone. Altre 1.600 rimasero ferite e il centro storico del capoluogo abruzzese andò completamente distrutto.

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