Il professor Alberto Zangrillo, coerentemente con le proprie posizioni sullo stato attuale della diffusione del Covid-19 a livello nazionale, cerca nuovamente di spiegare agli italiani perché il virus in questo momento risulti meno aggressivo nei confronti dei soggetti positivi e quindi perché i decessi siano drasticamente diminuiti. Il primario di anestesia e terapia intensiva dell'ospedale San Raffaele di Milano negli ultimi mesi si è sempre dovuto difendere dagli affondi di coloro i quali lo accusano di minimizzare l'allarme sanitario per il semplice fatto di aver affermato che il Coronavirus abbia ridotto la sua forza letale rispetto a quest'inverno. Eppure ci sarebbero le prove, come riferito anche dal altri medici. La chiave potrebbe essere la carica virale.
Sulla pagina personale Facebook il dottor Zangrillo ha postato proprio oggi uno studio pubblicato sul sito "Biomedcentral.com". Nella ricerca viene spiegato come ci sia effettivamente un collegamento fra la carica virale del Covid-19 e la gravità dei pazienti. "I pazienti sottoposti a ventilazione meccanica e deceduti avevano una carica virale di #SARSCoV2 otto volte superiore a quelli sopravvissuti e non intubati. Inoltre, una bassa carica virale è risultata indipendentemente associata ad un ridotto rischio di essere intubati e morire", dice Zangrillo."Come anticipato da diversi studi anche dell'Ospedale San Raffaele (alcuni di essi frutto di collaborazioni internazionali importanti), è sempre più evidente una correlazione tra riduzione della carica virale e la variazione del quadro clinico dei soggetti infettati, motivo per cui a Maggio-Agosto, rispetto a Febbraio-Aprile abbiamo visto prevalentemente malati asintomatici o che comunque non necessitavano del ricovero in terapia intensiva".
Nello studio si legge come il gruppo di ricercatori abbia esaminato diversi campioni prelevati da pazienti affetti da Covid-19 e ricoverati al Rabin Medical Center nel periodo di tempo compreso tra il 16 marzo e il 23 luglio 2020. I campioni prelevati tramite tamponi naso-faringei sono stati trasferiti ed esaminati dagli scienziati, che hanno rilevato come la carica virale abbia effettivamente inciso sulla gravità dei sintomi. Anche l'età dei pazienti avrebbe una correlazione con la carica virale. "I pazienti non sopravvissuti e ventilati meccanicamente avevano una carica virale significativamente più alta (8 volte) rispetto ai pazienti sopravvissuti non intubati”, si legge infatti nella relazione.
Ci sarebbe dunque una relazione fra la carica virale e lo stato di ipossiemia (riduzione dell'ossigeno nel sangue) che ha causato la morte di numerosi pazienti. Una ridotta carica virale avrebbe invece inciso sulla sopravvivenza, come dimostrato anche da un altro studio effettuato su 678 pazienti ricoverati a New York. Non tutti, però, appoggiano questa teoria.
Ci sarebbe infatti uno studio svizzero che al contrario non avrebbe trovato correlazioni fra carica virale e lo sviluppo della malattia.
A sostenere l'importanza della carica virale, tuttavia, ci sarebbero anche i risultati dell'Istituto pediatrico Burlo Garofolo di Trieste. Anche i nostri ricercatori italiani hanno infatti evidenziato come i danni provocati dal virus si siano ridotti proprio in seguito ad una riduzione della sua capacità di aggredire l'organismo umano.
In questo studio hanno dimostrato come una bassa carica virale è risultata indipendentemente associata ad un ridotto rischio di essere intubati e morire: i pazienti intubati e deceduti avevano una carica virale 8 volte superiore a quelli sopravvissuti/non intubati.#COVID19 pic.twitter.com/zVGzLP56XU
— Alberto Zangrillo (@azangrillo) September 2, 2020
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