Crudele e visionario: viaggio con Artaud nel labirinto della follia

Cinema, letteratura, teatro: l’opera dell’artista francese raccontata al Pac con disegni, ritratti e lettere

Luciana Baldrighi

Il più pazzo, il più sofferente, il più sovversivo eppure il più amato degli artisti francesi, Antonin Artaud (1896-1948) è l’ospite d’onore della mostra allestita al Pac, aperta ieri, di via Palestro 14: «Artaud: volti e labirinti» a cura di Jean-Jacques Lebel e Dominique Paini.
Un «montage», un «montrer» multimediale dedicato all’artista, poeta, attore e regista teatrale francese che esercitò una forte influenza non solo negli ambiti dell’arte, della letteratura, del teatro e del cinema, ma anche nel campo della cultura psichiatrica. Per alcuni versi si può dire che Artaud abbia rivoluzionato e ridefinito le nozioni stesse della cultura, del linguaggio, dell’arte teatrale passando per la molteplicità di ciò che rappresenta la «salute mentale».
Questo montaggio e questo mostrare - allestito fino al 12 febbraio concepito dai curatori e realizzato con la partecipazione della Coop, di Tod’s, sotto la direzione di Lucia Matino, accompagnato da un catalogo edito da «5 Continents Editions» - offre una visione completa e complessa di tutte le attività di Artaud dove colpisce in maniera stupefacente la natura poliedrica della sua creatività.
Si parte da un’esclusiva selezione di disegni, tra i quali figurano molti autoritratti, insieme a preziosi manoscritti, lettere, documenti a stampa, fotografie. Alcuni ritratti sono stati eseguiti dalla cerchia di amici e pittori che frequentava l’artista: Man Ray, Jean Dubuffet, Blthus, Eli Lotar, Armand Salacrou, Denise Colom, George Pastier, solo per citarne alcuni.
È impressionante come Jean Jacques Lebel ha ricostruito la stanza dell’ospedale psichiatrico di Rodez dove dal 1943 Artaud fu sottoposto a 51 elettroshock che gli hanno procurato seri danni psichici, la rottura di una vertebra lombare e una sofferenza indicibile: una schizofrenia che è diventata personale e insieme sociale e che fu censurata dalle istituzioni teatrali e museali per molto tempo.
A questo si aggiunge il repertorio completo, per la prima volta in Italia, delle 22 apparizioni cinematografiche di Artaud con un complesso sistema di schemi che riflettono gli uni sugli altri i ruoli interpretati da Artaud , «dando vita a un magma incandescente». Dai film più noti ha cui ha preso parte Artaud, da «La Passione di Giovanna d’Arco (1927) di Carl T. Dreyer, «Napoleone» (1927), «Lucrezia Borgia» (1935) di Abel Gange, «La leggenda di Liliom» (1933) di Fritz Lang, «L’Opera da tre soldi» (1930) di George Wilhelm Pabst, ma anche numerose altre pellicole molte delle quali introvabili e mai viste dopo gli anni Venti e Trenta.


Nel catalogo possiamo trovare anche il testo di André Berbe-Joffroy, l’ultima persona ad avere fatto visita ad Artaud all’ospedale psichiatrico di Rodez, unito a un testo inedito di Paolo Fabbri su Artaud e Van Gogh.

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