Cuccioli dall'Est maltrattati e venduti malati, indaga la Procura

Sotto inchiesta 9 persone tra allevatori, rivenditori e veterinari: gli animali trasportati in gabbie senza acqua né cibo, e mai sottoposti a vaccini, finivano anche in un negozio di via Padova

Strappavano i cuccioli di poche settimane alle madri, li stipavano in gabbie senza acqua per trasportarli dall'est Europa a Milano e a Torino e li imbottivano di medicine utili solo a nascondere le malattie di cui erano affetti. Il tutto per rimetterli sul mercato come se fossero cani o gatti italiani e rivenderli a caro prezzo a persone ignare del rischio che i loro animali potessero addirittura avere la rabbia. Queste le accuse contestate a nove persone, tra allevatori, rivenditori e veterinari che secondo il pubblico ministero Nicola Balice avrebbero messo in piedi una vera e propria associazione per delinquere finalizzata a svariati reati. Tra loro figurano i proprietari, marito e moglie, di un negozio per animali di via Padova. A tutti è stato notificato l'avviso di chiusura delle indagini che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. In base a quanto ricostruito dagli inquirenti, in totale spregio delle disposizioni comunitarie, gli indagati importavano dalla Repubblica slovacca cuccioli di cane, ma anche gatti, munendosi di passaporti per animali compilati con dati falsi relativamente alla data di nascita degli animali, all'esecuzione delle vaccinazioni obbligatorie per la prevenzione della rabbia e alle condizioni di salute. Il tutto per lucrare sui prezzi differenti del mercato italiano rispetto a quello dell'est europeo e creando un «potenziale pericolo per la salute pubblica», si legge nell'avviso di conclusione dell'inchiesta, perché talvolta i cuccioli non erano stati sottoposti all'obbligatoria vaccinazione contro la rabbia. L'organizzazione si sarebbe avvalsa dei servigi di due veterinari. Il primo avrebbe iscritto in modo illegale i cuccioli all'anagrafe canina lombarda, omettendo di rilevare la loro effettiva età e le eventuali patologie di cui soffrivano; avrebbe somministrato il vaccino contro la rabbia pochi giorni dopo l'importazione, senza sapere se fossero già stati vaccinati come prevede la legge; e avrebbe consegnato senza prescrizione ai negozianti medicinali a uso umano e animale perché camuffassero le malattie dei cuccioli. Il secondo, oltre ai farmaci, avrebbe affidato a un allevatore torinese i microchip per l'identificazione dei cuccioli e formato libretti di vaccinazione con il suo timbro e la sua firma in bianco.

Il pm accusa tutti gli indagati, senza differenze, di aver sottoposto «un numero imprecisato ma tuttavia rilevante di animali a sevizie e fatiche insopportabili», tra l'altro «sottoponendoli a trattamenti vaccinali ripetuti e somministrando medicinali al solo scopo di ritardare la scoperta di patologie in atto».

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