Addio Mazzarella, era la voce più popolare del teatro milanese

Addio Mazzarella, era la voce più popolare del teatro milanese


S e n'è andato in silenzio, Piero Mazzarella, da «grande solerte architetto della parola e dell'azione» come l'aveva definito Giorgio Strehler ai bei tempi del Nost Milan dove in coppia con Valentina Cortese aveva costituito un tandem indimenticabile. Anche se per il pubblico che lo amava e continuava a ricordarlo con un'emozione velata di nostalgia è, e sempre rimarrà, El Tecoppa. Quel popolano astuto ed imbroglione, piccolo furfantello del suburbio milanese la cui maschera si ritrova stampata, una volta per tutte, nella fisionomia in apparenza tranquilla e bonaria ma all'improvviso solcata da una ruga profonda e da uno scarto ardito del labbro superiore. In quella maschera che - quando anni fa glielo ricordai in un'intervista per il nostro giornale - all'improvviso accennò ad un inchino. «Non a lei, e neanche a quel personaggio che pure ho tanto amato», mi confessò di slancio, «ma al Ferravilla, il suo creatore. Che un altro grande come Severino Pagano ha reinventato fino a renderlo parte di noi, costola perenne di una Milano che non esiste più». Che non esisterà più, ma che ancora si può rintracciare nelle guance cascanti dei vecchi lombardi che, nell'ultimo «trani» di una periferia in via di malinconica estinzione lo evocano senza saperlo come un gaudente nemico della fatica quotidiana, che si rifiuta di iscriversi alla Camera del Lavoro e passa il tempo preoccupandosi di sopravvivere a spese di ragionieri ed impiegati. Perché è una sorta di angelo dei bassifondi, come Totò il buono di Zavattini o il Malato immaginario di Moliere. Ma Mazzarella, dall'Eredità del Felis, al Piccolo con la Cortese, fino al Gerolamo nell'Arca di Noè di Santucci a fianco di un diavolo incarnato come la Borboni (che odiandolo lo amò paragonandolo a Buster Keaton) era il misconosciuto poeta dei nostri Navigli. Di cui conservava nella mente e nel cuore il grigio fascino del crepuscolo, sia pur ravvivato da una concreta fede nell'intelligenza dell'uomo.

Sempre devoto alla sua compagnia e sempre amato se non addirittura venerato dai suoi colleghi complici della meravigliosa avventura del teatro. Da cui non si allontanò nemmeno quando, in un empito d'ammirazione, Fellini lo voleva al cinema. Addio, grande fantastico Piero.

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