Non possiamo neppure dire che «è stata dura ma ce l'abbiamo fatta». Ce l'abbiamo fatta con facilità. Come scrive Vittorio Sgarbi nel suo Diario della capra 2020/21, edito da Baldini+Castoldi: «Siamo tornati all'ignoranza diffusa degli anni Cinquanta ma, a differenza di allora, non ce ne vergogniamo più». Incontestabile. A che serve studiare medicina o giurisprudenza? C'è internet. Siamo tutti chirurghi, avvocati e commissari tecnici della nazionale di calcio. Oggi all'intellettuale medio è richiesta una sola competenza: la capacità di passare, con la stessa aria seriosa, e lo stesso linguaggio mediocre, dalla fenomenologia dello spirito all'arte di lessare le patate. Sintesi di Niccolò Machiavelli, che rubo all'agenda di Sgarbi: «Ci sono uomini che sanno tutto, peccato che questo sia tutto quello che sanno».
Basta accendere la televisione per capire cosa sia oggi la cultura dominante: una marchetta perpetua indirizzata al cliente ideale, una massa di capre. L'industria è convinta che sia una buona idea pubblicare libri per chi non legge, film per chi non va al cinema, quadri per chi odia i musei, giornali per chi si informa solo in Rete. La realtà, cioè il conto economico, dà torto all'industria? Peggio per la realtà. Salvo poi chiudere i battenti dopo una fase di decrescita (felice?). Che triste fare spazzatura commerciale e poi non riuscire neppure a venderla. Il discorso è più generale. Tocca arrendersi: il mondo contemporaneo sembra uscire dalle pagine di Bouvard e Pécuchet. Siamo riusciti a fondere scienza e pressapochismo, progresso e ciarlataneria con il mastice della stupidità. Flaubert, nel suo romanzo capolavoro, aveva previsto il peggio. Bouvard e Pécuchet attraversano, con uguale imperizia, tutti i campi del sapere: agronomia, giardinaggio, arte delle conserve, chimica, medicina, geologia, teatro, politica, spiritismo, religione, pedagogia. Il risultato è sempre un tragicomico fallimento, un inabissarsi del sapere, proprio quello che abbiamo davanti agli occhi. Quale vicenda, più del Covid, ha mostrato l'indistricabile groviglio di scienza e superstizione nel quale ci dibattiamo? Il virus che si abbatte sui peccatori dell'aperitivo e della discoteca è descritto come una punizione divina. E chi commina la pena? La scienza delle mascherine. Questo atteggiamento contraddittorio, che impedisce di prendere decisioni capaci di salvaguardare la salute senza eccedere in misure illiberali, sarebbe piaciuto agli «eroi» di Flaubert.
Il Diario della capra è un antidoto al conformismo, lo sfogli e respiri meglio. C'è l'arte, raccontata con la sapienza ma anche con l'esperienza di Sgarbi (per un critico d'arte, viaggiare non è un optional). Ci sono le battute liberatorie di Oscar Wilde, André Malraux, Ennio Flaiano, Leo Longanesi e tantissimi altri. Dappertutto ci sono scintille d'intelligenza capaci di sovvertire tutto quello che la nostra società dà per scontato. A ognuno le sue scintille preferite. Ecco le nostre cinque.
Giosuè Carducci: «Colui che potendo esprimere un concetto in dieci parole ne usa dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni».
Andrea Camilleri: «Adoro chi osa. Odio chi usa».
Marcello Marchesi: «Due parallele si incontrano all'infinito, quando ormai non gliene frega più niente».
Oscar Wilde: «L'amore è un malinteso tra due pazzi».
Ennio Flaiano: «Si battono per l'Idea, non avendone».
Cinque però non bastano, ce ne vuole almeno un'altra di quel vecchio sporcaccione di Charles Bukowski: «Quando si tende a fare le cose che fanno tutti gli altri, si diventa come tutti gli altri».
Certo, lo studente potrebbe deviare sulla cattiva strada leggendo Mark Twain: «Non ho mai permesso che la scuola interferisse con la mia istruzione». Però potrebbe anche scoprire che spesso la cattiva strada, come già sapeva Fabrizio De André, è quella giusta per diventare se stessi e infischiarsene del senso comune, coincidente col conformismo. Per usare le parole di Italo Tavolato: «Il pudore della gente perbene offende il mio pudore». E aggiungiamo pure Georg Christoph Lichtenberg: «Sono stato spesso censurato per aver commesso errori che il mio censore non aveva né la forza né lo spirito sufficienti per commettere».
Sarebbe però un torto ridurre il Diario a un florilegio di citazioni, per quanto divertenti o illuminanti. Ci sono tanti capolavori, specie rinascimentali, spiegati in poche ma profonde parole da Sgarbi, si va da Piero della Francesca a Leonardo, da Raffaello al Bronzino, una abbuffata di bellezza che annienta l'orrore e illumina il grigiore che ci circonda. C'è tanta tradizione, non nel senso polveroso del termine, ma nel senso di ciò che siamo, anzi: che eravamo, e che forse potremmo addirittura tornare a essere. Ma gli artisti del Rinascimento avevano un coraggio che oggi ci manca. Si vede in ogni quadro scelto dal critico. Per la prima volta, l'umile artigiano contestava al Principe e alla Chiesa il diritto di decidere cosa andasse scolpito e dipinto. Sfogliate queste pagine e troverete la spiritualità di Leonardo, che reinventa un soggetto sacro, o la psicologia raffinata e molto «laica» di Antonello da Messina. Chi oserebbe tanto nel tempo della cancel culture e del politicamente corretto, dove la censura si esercita non solo sulle opere ma addirittura in base alla biografia dell'autore? Nessuno. Infatti il dibattito muore, portandosi dietro la cultura per intero, vivace come un funerale.
Chi non lo legge è una capra. E ricordate, come scrive Sgarbi: «L'ignoranza è una colpa». Capre diem.
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