Sorpresa, il codice Italia vince sul resto del mondo

La mostra curata da Trione non è avventurosa ma seria. Deludente invece il livello medio degli altri Padiglioni nazionali. La cosa migliore? Il grande pittore romeno Adrian Ghenie

The arrival di Adrian Ghenie
The arrival di Adrian Ghenie

da Venezia

Arrivata la folla delle grandi occasioni con disagi e file agli scarsissimi punti di ristoro, l'immancabile struscio della vernice e il casino alla sala stampa intesa più come un porto di mare che non un luogo di lavoro, il secondo è il giorno dei padiglioni nazionali, del tutto indipendenti dalla mostra del direttore Okwui Enwezor. È dunque possibile che alla Biennale di Venezia diversi aspetti confliggano e si elidano. Poche partecipazioni condividono infatti l'impegno sociale di All The World's Futures e in molte prevale un prevedibile effetto Expo, come se i Paesi più che opere d'arte dovessero esporre prodotti e gadget. In generale questa del 2015 appare un'edizione poco brillante. Gli Stati Uniti, che di solito fanno fuoco e fiamme, puntano sulla storica performer Joan Jonas qui impegnata in uno stand molto formale e stucchevole. Se la cava invece Sarah Lucas per la Gran Bretagna, in pieno revival anni '90. Spiccano i bellissimi quadri di Adrian Ghenie nel padiglione romeno, uno che va controcorrente verso una figurazione espressionista e quindi non vincerà mai alcun premio (immaginiamo andrà ancora una volta a qualche astruso concettuale simpatico alla giuria).

Obiettivo puntato dunque sul Padiglione Italia, affidato non senza polemiche a Vincenzo Trione, che ha avuto l'ardire di non definirsi curatore bensì critico, recuperando quella funzione accademica e intellettuale che nell'andazzo generale viene considerata superata. In molti infatti sono convinti siano sufficienti una buona rubrica telefonica e conoscenze significative nella società che conta per esercitare questo mestiere, mentre il ruolo culturale può inopinatamente passare in secondo piano. Altro tabù sfatato da Trione, il tentativo di parlare di un Codice Italia , di un'identità nazionale opposta al globalismo imperante, andando a cercare queste radici nell'equilibrio spesso precario tra passato e presente. La sua idea, fin dall'inizio, era quella di mescolare grandi nomi a outsider, maestri indiscussi di Arte Povera e Transavanguardia con giovani emergenti, recuperando anche figure marginali al fine di confrontarle con altre note al pubblico. Per fortuna il suo sguardo sulla storia non ha privilegiato solo la tendenza oggi assai in voga degli anni '60 e '70, ovvero monocromi, cinetici e pittura analitica, ma ha ribadito l'importanza (anche generazionale) di ciò che è avvenuto dopo, da quando l'immagine, i materiali, le forme sono tornate a far parte del dibattito artistico.

Per Trione, insomma, Codice Italia è l'opera e non l'intenzione dell'opera, indipendentemente dal linguaggio usato, anche se qui tra tutti si tende a privilegiare la scultura proprio per la capacità di sintesi e di condizionare lo spazio. Con gli artisti ha riflettuto, discusso, studiato, fino a ottenere quindici proposte di intervento allestite in altrettante «gabbie» compatte che forse hanno il torto di chiudere alla nostra vista la bellezza delle Tese ma il pregio di mostrare un ordine divenuto necessario dopo il confuso allestimento della scorsa edizione. Un percorso che comincia con due antichi sperimentatori fuori da ogni cordata, Aldo Tambellini e Paolo Gioli, quasi più noti all'estero che in patria, il primo teorico dell'Expanded Cinema e della pellicola dipinta, il secondo fotografo manipolatore di immagini ed egli stesso limitrofo al cinema. Se poi c'è da capire quanto in un critico quarantenne abbia potuto influire la matrice culturale di Arte Povera o Transavanguardia, Trione le ingloba entrambe non solo invitando Jannis Kounellis e Mimmo Paladino a rimettersi ancora una volta in gioco con merito, ma includendo nella riflessione anche i cosiddetti fiancheggiatori dei due movimenti, Claudio Parmiggiani e Nino Longobardi. Ad avviso di molti quello dell'artista emiliano (Parmiggiani appunto) è uno dei lavori più belli e poetici visti in tutta la Biennale: un'ancora ha spaccato un vetro ed è uscita da un muro, gesto evocativo e insieme definitivo della condizione di un artista da sempre bravissimo eppure ancor troppo poco considerato. Anche avvicinandoci al nostro tempo l'ambivalenza permane, e se Vanessa Beecroft, non senza qualche incertezza, si misura con la scultura, il romano Andrea Aquilanti elabora un progetto dove il disegno diviene il supporto lieve per catturare la nostra ombra, a lasciare impresso il nostro avvenuto passaggio. La fase finale del Codice Italia consiste in quella che un tempo si chiamava critica militante, l' hic et nunc , il presente non sempre così definito, ma mentre due anni fa gli artisti si arrovellavano intorno a temi sociali restituendo dell'Italia un'immagine molto cupa e negativa, il 2015 sembra offrire nuove possibilità di riflessione: certo la cappella di Nicola Samorì è alquanto lugubre, la distesa di grano di Marzia Migliora suggerisce uno spazio raccolto e protetto, la gigantesca scultura di Alis Fillol sembra un'astronave aliena piombata da chissà quale mondo, però tutti questi ex ragazzi degli anni '70 (il più giovane Luca Monterastelli è nato nel 1983, anche lui scultore) hanno lavorato alacremente sull'opera, identificando nell'essere italiani l'abbandono di quella sciatteria informe sempre più insopportabile.

La mostra ha dunque un capo, una coda e un filo, e ci sembrerebbe del tutto improprio giudicarne il valore a seconda del gradimento di ciascuno per questo o quell'artista. Dove forse Trione tira il freno a mano è nel ricorso a venerati maestri per spiegare al mondo che cosa sono oggi la cultura e l'arte italiana. I tre omaggi al Belpaese di altrettante figure peraltro interdisciplinari come Peter Greenaway, William Kentridge e Jean-Marie Straub appaiono onestamente inutili, così come il quarto d'ora dedicato al monologo di Umberto Eco sulla memoria filmato da Davide Ferrario, suggestivo certo ma denso anche di luoghi comuni.

Ben venga però il ruolo centrale dell'erudizione in un Paese che ne soffre ancora tanto la mancanza: in tal senso il catalogo pubblicato da Bompiani, ricco di contributi esterni, ne costituisce ulteriore viatico, a conferma della serietà di tutta l'operazione Codice Italia .

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