Il cielo stellato prima e dopo Galileo. Quando il sapere diventa bellezza

A Padova grande mostra, tra dipinti e tecnologia, sul genio che chiuse il Rinascimento e aprì l’età moderna

Il cielo stellato prima e dopo Galileo. Quando il sapere diventa bellezza

nostro inviato a Padova

L’impresa maggiore di Galileo Galilei è aver chiuso il Rinascimento, e aperto la modernità.

È strano. Ma quando si pensa a un genio, nella storia della civiltà, italiana o persino europea, si cita Leonardo da Vinci. L’artista inventore, scienziato, architetto, sapiente. Eppure: quante macchine di Leonardo, il quale fu uomo di intuizione più che di invenzione, funzionano?

La domanda, quindi, è: e se il vero genio poliedrico, l’artista multiforme, colui che ha rivoluzionato il nostro modo di intendere e comprendere la realtà, invece, fosse lui, Galileo? Con le sue scoperte ha messo in discussione i confini della conoscenza, allargandoli. Con i suoi scritti ha cambiato la nostra vita, rivoluzionando il mondo. È stato lui a dubitare dei testi degli antichi, dei maestri riconosciuti, Aristotele o Tolomeo. È stato lui a fidarsi, piuttosto, dell’esperienza e dell’osservazione. È la base del metodo scientifico.

«Ce lo insegnano a scuola, ma lo dimentichiamo. Quello di Galileo è un ribaltamento radicale di un sistema. Ecco il perché del titolo». Benvenuti – accompagnati dal curatore Giovanni Villa – alla grande mostra Rivoluzione Galileo, dove «La scienza incontra l’arte», aperta da oggi (fino al 18 marzo 2018) a Palazzo del Monte di Pietà di Padova. «Vogliamo raccontare un uomo nominato da tutti, ma da pochi realmente conosciuto».

Tutti sanno che Galileo è il padre del metodo sperimentale. Ma pochi sanno che fu un letterato finissimo, letto e amato da Leopardi, da De Sanctis, da Pirandello, fino a Italo Calvino. Lo consideravano il più grande scrittore che la lingua italiana abbia avuto. Fu, figlio di compositore, un virtuoso musicista che evidenziò lo stretto rapporto tra musica e matematica. Fu uno dei maggiori critici d’arte del ’600 (che stroncò l’Arcimboldo), per giudizio di Erwin Panofsky. Fu matematico e fisico (e non portò a termine gli studi di medicina solo per una insuperabile ipocondria). E fu intelligentissimo imprenditore: dovendo mantenere madre, sorelle, moglie e figlie, cui doveva garantire la dote, nella grande casa che acquistò qui a Padova, in Borgo dei Vignali (dove visse, come lasciò scritto, i diciotto anni più belli della sua vita, dal 1592 al 1610), si mise a produrre cannocchiali e compassi geometrici militari. Un commercio che gli garantiva una rendita economica superiore all’insegnamento in Università.

Grande amante del vino e delle donne, Galileo Galilei - che nello Studium di Padova, università che dipendeva da Venezia, libera dai cattolici e dai calvinisti, fra l’orto botanico più antico del mondo e il teatro anatomico di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, trovò l’ambiente più adatto per la sua rivoluzione scientifica - eccelse in tanti campi, facendo grandi cose. Per raccontarle tutte, serve una grande mostra. Eccola.

Due anni di preparazione, un impegno economico di due milioni di euro (tutti della Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo), dodici sale, oltre duecento pezzi esposti, un allestimento fortemente scenografico, Rivoluzione Galileo ricostruisce l’universo, fra arte e scienza, che ruota attorno al padre della fisica moderna e delle scienze naturali: l’uomo che vide l’infinitamente grande, puntando il cannocchiale verso il cielo per osservare i corpi celesti, e l’infinitamente piccolo, scrutando i minuscoli insetti della terra e osservandoli dal suo microscopio. E per farlo, la mostra utilizza, come un’enorme Wunderkammer, il materiale più eterogeneo e differente. C’è Il Sole dipinto nel 1904 da Pellizza da Volpedo. C’è l’edizione originale dei fumetti di Tintin con il celebre razzo a scacchi bianchi e rossi. C’è, in loop, il film Le Voyage dans la lune di Georges Méliès...

Prego, accomodatevi. Il sipario si apre sulla poesia di Primo Levi Sidereus Nuncius (1984), «Ho visto Venere bicorne/ Navigare soave nel sereno./ Ho visto valli e monti sulla Luna/ E Saturno trigemino/ Io Galileo, primo fra gli umani...». Poi il dipinto di Santi di Tito che ritrae Galileo trentottenne (mentre tutti abbiamo in testa il ritatto-icona di Justus Sustermans, del 1636, che pure c’è, qualche sala più avanti), ci sono gli acquarelli e gli schizzi dello stesso Galileo, che mostrano l’abile mano di disegnatore, c’è la statua in bronzo Lo scorticato (1598) di Ludovico Cardi detto il Cìgoli... Ma sono le sale tre e quattro il motore immobile della mostra: ecco come era il cielo prima di Galileo, ed ecco come fu dopo. L’era dell’astrologia cede il passo all’epoca dell’astronomia. Di qua, astrolabi, sfere armillari, manuali astrologici, il cielo del mito, la teoria aristotelica degli elementi, il grande dipinto di Rubens L’origine della Via Lattea (1635-38) in cui a generare la galassia sono le gocce di latte uscite dai seni di Giunone... Di lì, i nuovi strumenti scientifici, i manoscritti con le osservazioni delle fasi lunari, il cannocchiale astronomico a sei tiranti, lungo otto metri, realizzato da Giuseppe Campani, che attraversa tutta la stanza ed è puntato su un’enorme luna in cui un disegno di mano di Galileo sfuma, in perfetta coincidenza, in una foto della Nasa.

Il mondo è cambiato. Galileo è un uomo nuovo che dà inizio a una nuova era. E l’arte raccoglie la sua visione. Ecco due capolavori di Guercino: nel primo un Atlante sorregge un globo celeste ancora astrologico, nel secondo un Endimione sotto la luna tiene in grembo un cannocchiale. Eccola, la rivoluzione.

La vita di Galileo, come l’opera di Bertolt Brecht, ha subito versioni e revisioni, è stata soggetta a discussioni e abiure. La penultima sala è dedicata allo scienziato che dovette piegarsi all’Inquisizione. L’ultima, con la grande biblioteca con tutte le prime edizioni dei suoi libri, al trionfo della Verità: se Galileo dovette dire «che non vedeva quello che vedeva», videro però i posteri. Noi. «Galileo è il padre della fisica moderna », sentenzia Albert Einstein.

E prima di uscire a riveder le stelle, c’è ancora il tempo, accompagnati da una meravigliosa videoinstallazione a parete intera di Michael Najjar, Spacewalk, per una camminata virtuale sulla superficie della Luna. Senza Galileo, l’avremmo mai raggiunta?

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