È un'italiana la personalità più potente del mondo dell'arte contemporanea: appena nominata direttrice artistica. Lo afferma la lista «Power 100» dell'autorevole magazine ArtReview, in cui precede Larry Gagosian e Ai Weiwei. Si chiama Carolyn Christov-Bakargiev e a dispetto del nome è cittadina del nostro Paese. Pressoché sconosciuta al grande pubblico, ma in realtà molto nota tra gli addetti ai lavori. È stata infatti curatrice dell'edizione 2012 di Documenta, la mostra che si tiene con cadenza quinquennale nella cittadina tedesca di Kassel, una delle rassegne di riferimento per i cultori dell'arte contemporanea. Carolyn ha un numero di cellulare tedesco, ma ci risponde al telefono da New York. «Sorpresa della scelta di ArtReview? Sì, anche se non posso definirmi un outsider, visto che in questa graduatoria sono già finita altre volte. L'anno scorso ero al quattordicesimo posto. Piuttosto sono molto contenta di essere la prima donna da undici anni a questa parte a ricevere questo riconoscimento, un segnale che qualcosa sta cambiando».
Le chiediamo se il fatto che ci sia un curatore al primo posto rivesta un significato particolare: «Non in assoluto: ci sono anche curatori asserviti al mercato. Ma il mio nome è associato a una storia professionale che mi ha sempre visto declinare l'invito a dirigere una fiera. Io ci vedo un indicatore preciso del fatto che il potere del mercato sta diminuendo». È però vero che prima di Kassel sarebbe stato arduo vederla in quella posizione. «L'ultima Documenta ha visto 870mila spettatori a Kassel, a cui si aggiungo i 30mila di Kabul, che hanno sfidato le condizioni che potete immaginare in un Paese in guerra. Anche quando sono stata curatrice della Biennale di Sidney le presenze erano aumentate del 30%. Al pubblico piace quello che faccio». E non è questo il sintomo di maggior potere nel mondo dell'arte? «Mi limiterei a dire che forse si sta spostando l'identificazione di dove stia il potere. Power comunque è una parola che non mi piace. Preferisco potenzialità, o possibilità, che hanno la stessa radice. Non m'interessa il controllo, resto pur sempre una femminista».
Parla dall'America. Lavora in Germania. Nome e cognome rimandano all'Est Europa. Ma d'italiano cos'ha? «A livello personale mi sento italiana. Ho anche il passaporto statunitense, e sono nata in New Jersey. Mia mamma riposa nel cimitero di Tortona. Mio marito Cesare Pietroiusti è un artista italiano. Ho casa a Roma, e anche a Venezia. Sono stata per un breve periodo direttrice del Museo di Rivoli, ma il mio legame con l'Italia è molto più profondo. Ho studiato alla Normale di Pisa. Ricordo benissimo qual è il miglior caffè del Lungarno. Ho imparato a nuotare sulla passeggiata di Nervi. Mio padre era bulgaro, ma venne in Italia a studiare medicina, a Pisa e a Torino. È lì che conobbe mia madre. E condivideva l'appartamento con uno studente di lettere a cui ogni tanto doveva fare anche qualche puntura: Italo Calvino. Poi i miei, nel secondo dopoguerra, andarono in America, perché in Italia il lavoro mancava. Certo, mi riconosco anche nell'America in cui sono cresciuta, quella di Janis Joplin, Bob Dylan, Emily Dickinson ed Ezra Pound, Thoreau ma tornando all'Italia, amo luoghi come il Museo Burri di Città di Castello, e ho voluto un numero credo senza precedenti di artisti italiani a Kassel.
Morandi, Penone, ma anche Rossella Biscotti, la giovanissima e senza curriculum internazionale Chiara Fumai». Carolyn è una conversatrice torrenziale. Forse perché il suo ruolo la isola. «Do molto al lavoro e alla famiglia. Ma sono una persona piuttosto sola».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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