Siamo sicuri di conoscere bene Vittorio De Sica? Sì, proprio lui. L'attore consacrato e il regista osannato. È divenuto nel tempo parte così integrante del nostro immaginario che spesso sottovalutiamo la sua versatilità e consegnamo il suo ricordo a immagini precise e spesso stereotipate. Ecco perché è tutt'altro che scontata l'utilità della mostra che si apre oggi all'Ara Pacis di Roma dal titolo Tutti De Sica. Una mostra che ovviamente intende onorare la memoria di uno dei protagonisti della cultura italiana del Novecento ma anche sottolinearne sfumature e sfaccettature che forse il grande pubblico, soprattutto quello più giovane, non conosce abbastanza. Dagli archivi privati dei figli, degli amici e collaboratori più cari, escono così documenti, oggetti e fotografie che offrono al visitatore nuove occasioni di incontro con uno dei padri del Neorealismo.
Un fiume di ricordi dal quale, come una continua sorpresa, esce senza sosta quella moltitudine di personaggi con il volto di Vittorio De Sica, in un gioco a cavallo tra realtà e finzione. Una visione complessiva di Vittorio De Sica, uno sguardo in grado di abbracciarne l'intera figura, al di là dei luoghi comuni.
L'esposizione ha un carattere naturalmente multimediale e scorre in un percorso composto da manifesti (più di venti originali) e fotografie (oltre quattrocento pezzi unici, sul set e fuori dal set, o in famiglia) e immagini in movimento, oggetti di culto (dalla carrellata di costumi originali, strumento chiave per saltare da un personaggio all'altro, alla bicicletta più famosa del cinema, agli Oscar che hanno suggellato i suoi film). Insomma un itinerario costellato di documenti personali, che come occhi di bue illuminano il Vittorio De Sica regista e attore, certamente, ma anche cantante e uomo di spettacolo a tutto tondo, così come il De Sica privato, con le due mogli, Giuditta Rissone e Maria Mercader, e i tre figli. Quattro sale, dodici sezioni: dal primo successo con Mario Mattoli e la sua impresa di spettacoli Za Bum che porta al varietà la rivista «Lucciole della città» (giocando sul Chaplin, in sala proprio all'inizio degli anni Trenta, di «Luci della città») alla popolarità raggiunta con le incisioni discografiche (basti citare «Parlami d'amore, Mariù»); il passaggio dagli anni Trenta, destreggiati tra teatro e cinema («Il signor Max» è del 1937) agli anni Quaranta che lo vedono imporsi come regista e padre del Neorealismo: magnifica la sequenza fotografica che vedremo in mostra, raccolta sul set di «I bambini ci guardano» (1943), testimonianza di grandissima forza visiva nel mostrare il suo talento unico nella direzione degli attori non professionisti; la stagione del Neorealismo con i quattro capolavori «Sciuscià» (1946), «Ladri di biciclette» (1948), «Miracolo a Milano» (1950), «Umberto D.» (1952) e il rapporto con la politica (e con la figura di Andreotti) in un'Italia che cambia a cavallo degli anni Cinquanta; il sodalizio con Cesare Zavattini e quello con Sophia Loren; e così seguendo il filo delle sue vite e dei suoi personaggi con la sezione «Il piacere della maschera - Vent'anni di interpretazioni», fino a un'ultima sala dove trova spazio una riflessione sull'immensa eredità lasciata da Vittorio De Sica.
Tutti De Sica ruoterà anche attorno a uno dei sodalizi artistici tra i più felici della storia del cinema: quello con Cesare Zavattini, conosciuto nel 1939, dalla cui penna sono nate le pellicole neoreliste fino a quell'«Umberto D.» che nel 1952 segnerà un anno di svolta per Vittorio De Sica, con la reazione all'insuccesso (e alle aspre polemiche scaturite dal film) e la fuga, in un certo senso, del De Sica attore dai film da lui diretti per trovare altrove e con altri autori la sua migliore espressione (e da esempio per tutti valgano i ruoli in «I gioielli di Madame De...» di Max Ophüls e in «Il generale della Rovere» di Roberto Rossellini).
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