L'incubo di Dante, il cantante finito nel girone della giustizia

Cantava contro la 'ndrangheta, poi Dante Brancatisano è stato accusato di farne parte. Dopo tre anni passati in carcere, la Cassazione ha annullato la sentenza, ma lui continua a vivere nel girone infernale della giustizia. In un cd e in un libro canta e racconta il suo calvario

L'incubo di Dante, il cantante finito nel girone della giustizia

“Salivamo sul palco vestiti di nero per protestare contro i continui omicidi che avvenivano in Calabria, le canzoni che scrivevo erano inni di libertà per smuovere le piazze, la gente ci manifestava affetto, cantavamo contro la 'ndrangheta e per questo quando i giudici mi hanno accusato di fare parte di questa associazione criminale è stata la vergogna delle vergogne”. Dante Brancatisano aveva 22 anni quando ha iniziato la sua carriera da cantante rock con I Pitagorici. A Samo, in provincia di Reggio Calabria, il gruppo era molto conosciuto. La sua carriera prosegue, il gruppo gira il mondo, fa un tour in America e in Australia. Poi, la data dell'8 aprile 2003 segna uno spartiacque indelebile. Dante a.C e Dante d.C. Dove la C sta per carcere.

Cosa è successo?
“Hanno fatto irruzione a casa mia, mi hanno portato in galera e solo dopo giorni ho saputo che mi accusavano di essere il nuovo capo emergente a Milano della cosca dei Morabito, il tutto solo sulla base di alcune intercettazioni fatte a Reggio Calabria”.
Poi?
“Il mio avvocato ha chiesto sin da subito che la competenza territoriale venisse data alla procura calabrese e non a quella milanese che si stava occupando del mio caso, ma niente. Vengo condannato in primo e in secondo grado”.
Fino alla sentenza di Cassazione.
“Sì, la Corte Suprema annulla la sentenza rilevando un vizio di competenza territoriale. Nel frattempo, la corte d'Appello di Milano assolve tutti gli altri imputati di associazione mafiosa. Ma il mio caso rimane aperto. Gli atti vengono inviati alla procura di Reggio Calabria che non recepisce la sentenza della Cassazione e mi condanna a cinque anni".
Dal primo grado fino alla Cassazione, tu sei stato in carcere.
"Sì, tre anni e 25 giorni in carcere. Sono stato anche sei mesi in isolamento, contavo le mattonelle delle pareti per non impazzire”.
Via Gleno è il titolo del tuo album, in riferimento alla via del carcere di massima sicurezza di Bergamo. La galera ha cambiato il tuo modo di fare musica?
“Sicuramente, mi ha lasciato sensazioni e danni permanenti che poi ho riversato sui miei testi. Non vedere i miei genitori per così tanto tempo è un dolore che nessuno potrà mai risarcire”.
Com'era la vita dentro le mura?
“Nella sfortuna ho avuto la fortuna di farmi voler bene, volevano darmi una chitarra e una cella singola, ma ho rifiutato perché con il sovraffollamento che c'è, sarei passato per un infame. Ma anche senza una chitarra, io volavo con la fantasia. Grazie all'immaginazione riuscivo a essere altrove e a sentirmi libero anche dietro le sbarre”.
Tu eri nello stesso posto in cui erano rinchiusi esponenti della 'Ndrangheta. Che effetto ti faceva essere considerato come loro?
“Io non sono come loro. Durante l'ora d'aria, uscivo in pantaloncini e maglietta a maniche corte per prendere un po' di sole. Loro non uscivano, erano tutti abbottonati, in tiro, con i vestiti che brillavano. Come ho scritto nel mio libro, sono “pupazzi che non sono degni della loro libertà”. Io non sono uno di loro e non lo sarò mai, la divisa che mi hanno messo con la scritta 'ndrangheta mi fa male”.
“Storia straordinaria di un uomo ordinario” (Ed. Vololibero, pp.160, euro 15) è infatti il titolo del libro che hai scritto e nel quale racconti dettagliatamente quello che tu definisci un caso di malagiustizia. Tu che sei un cantante, come mai hai deciso di scrivere la tua storia?
“L'ho fatto nella speranza che altre vita non vengano spezzate, il potere non può essere usato in queste modo per distruggere la vite delle persone”.
Tu adesso sei libero, non hai restrizioni di alcun tipo e vivi in Ticino. Ma sei ancora in attesa del secondo grado di giudizio, dopo più di dieci anni. Hai ancora fiducia nello Stato?
“Sì, non l'ho mai persa. Credo ancora nella giustizia.

Il tribunale di Reggio non ha recepito la sentenza della Cassazione e mi ha condannato senza uno stralcio di prova”.
Adesso come vedi il tuo futuro?
“Io sono libero, sto facendo la mia battaglia per uscirne pulito e potere ripartire con una nuova vita”.

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