Una santa alleanza in nome della moda, dell'arte, dell'architettura e della tradizione. La dice lunga il nome "Marti ae Baghi", scritto proprio così, ma illustri nomi della Milano-bene lo sanno da più generazioni, eppure la storia inizia nel Novecento e in questo giorni dedicati alla moda c'è chi ha voluto fare un gioco fuori dagli schemi come la Curiel o ad esempio anche le due soce di "Marti ae Baghi", entrambe figlie d'arte che in via Soncino 1, proprio di fronte al bellisimo Palazzo Stampa (che andrebbe restaurato), hanno saputo creare un luogo che è più che un atelier, un negozio, uno show room. Perchè questo spazio molto ampio ospita anche sculture, quadri, gioielli, abiti, golf, cappelli, sciarpe, rotoli di tessuti, campioni di stoffe, bottoni. Una sartoria colta a passo con i tempi che ha mantenuto la sua vecchia clientela e ha saputo rinnovare le linee non solo delle proprie creazioni, ma anche di arredo, cercando un modo di fare parlare di se con libri d'arte, quadri legati alla natura, come i tessuti degli abiti esposti sono tutti filati provenienti da basi naturali, organiche, lane, cotoni, velluti, metalli, pelli o tinture in pieno rispetto con ciò che è bio, ma il bio di un tempo, quello di quando sarti londinesi o napoletani, erano i primi a fare di un mestiere una religione.
Ma andiamo a sbirciare cosa c'è tra le sbarre di quelle sei grandi vetrine che fanno angolo in una nicchia della vecchia Milano tra le Colonne di San Lorenzo e il Duomo. Dietro a un grande bancone fatto a bacheca stile anni Cinquanta si nascondono collane, bracciali, orecchini, spille e guanti accompagnati da cesti eleganti di sciarpe dai disegni inconfondibili, come ogni artisti ama fare, mettere il proprio marchio di fabbrica a partile dal disegno e dal colore fino al prodotto finito e al suo contenuto. Anche le borse come le cinture i golf in cachemire, le giacche e le gonne sono inconfondibili. Per non parlare dei cappotti moderni più che mai perchè la moda è tornata a riproporre i capi ideati cinquanta anni fa, veri "cimeli" che solo alcune ed esclusive donne possono indossare. Ma contemporaneamento sono talmente "futuriste" o "razionaliste" che ciascun disegno cerca la dama che lo indossa. <L'Impressionismo e la moda>, la bella mostra che si è appena conclusa a Parigi al Museo d'Orsay, ha messo bene in luce che cosa ha significato il costume per la storia della pittura e viceversa; perchè se un tempo non vi era la fotografia a colori, ma la pittura o il disegno quale unico modo per rappresentare e documentare la realtà e la storia del vestire e del vivere, ora che tutto è più facilmente afferrabile, forse manca quel bel rapporto tra il pittore e la modella (come nel bel film su "Renoir" che mi auguro arrivi anche in Italia), ma è rimasto quello tra la modista e la sua modella. Coco Chanel usava molto i manichini per poi solo alla fine aggiustare le imperfezioni sulle sue indossatrici. Amanti dell'ago e del filo, dei drappeggi, delle morbidezze, allo stesso tempo della linearità e del vintage reale. Nei quadri di Monet, Manet, Van Gogh, Renoir e persino dei nostri Lega o Tallone, per non tornare troppo indietro nei secoli, le diafane donne di Klimt ricoperte d'oro che hanno influenzato non poco l'arte decadente degli anni Venti, Trenta e Quaranta (per una parte, visto che la guerra ha interrotto ogni cosa) era molto ben visibile lo scenario sociale. E di scenari sociali e politici in questi giorni di elezione politiche dalle vincite incerte e dalle alleanze improbabili, se ne sono viste tante. Ad aprile scade anche il mandato di Napolitano...Anche il Papa si è dimesso e sa solo Dio cosa non ci sia dietro la macchina vaticana. E di questo e di altro si parla nello spazio multiculturale di Anna Razzini e Rossella Rossi. Subito un profilo per chi non conoscesse questo laboratorio di idee e di manufatti, di chi per prima ha avuto l'idea di fondare con l'amica e socia, prima in via Fieno e poi trasferito in Via Soncino, la manifattura "Marti ae Baghi", Anna Razzini.
Anna è figlia di Giulio Marangoni (una famiglia di Castellanza che si trasferì a Milano per ragioni di lavoro), noto braccio destro dell'architetto Giovanni Muzio (1893-1982) che nel solo capoluogo lombardo ha edificato la Triennale, Il Palazzo dell'Arengario, composto da due edifici prospettici dai quali svetta il grattacielo di Piacentini, la Ca' Brutta, molti edifici anche eleganti come in vai Dei Giardini, case per abitazioni e uffici di grandi dimensioni, già allora con box o meglio autorimesse, il Palazzo dell'Informazione, e chiese... Lo studio Muzio lo aprì in Via Sant'Orsola, proprio a due passi da "Marti ae Baghi" e non lontano dalle torri gemelle con terrazze abitabili in via San Sisto circondate da un bel giardino e da una casa d'abitazione per custodi con arcate terrazzate soprastanti ricche di glicini ed edera, edificate su terreno di Meazza. All'inizio con lui lavorarono Giuseppe De Finetti, Gio Ponti, Emilio Lancia e Mino Fiocchi. Poi ognuno prese la sua strada e Marangoni divenne il "sostituto" si può dire di Muzio stesso. Muzio dominò la scena dagli anni Venti e per tutta una buona parte del Novecento. Il suo scontro era con i razionalisti (avanguardia), lui era per la conservazione del classico, ma un classico che avevesse un ordine, schemi consolidati, al punto che il linguaggio di Muzio lasciato nelle mani del bravo esecutore Razzini agli occhi dei posteri venne visto come "moderno". E come diceva Le Corbusier, padre dell'architettura moderna, "L'importante non è essere belli, l'importante è essere eterni", come lo furono le sue opere e anche quelle di Muzio. "Mio padre Luigi Razzini, così come mio nonno Giulio, mi insegnò molto in campo artistico e il gusto è una cosa innata, ma anche mia madre contribuì molto alla mia formazione. Quando Muzio morì, suo figlio Lorenzo prese le redini dello studio e regalò un'orologio a mio padre in segno di riconoscenza, il suo. Ma Muzio, mi spiace dirlo, era molto tirchio e fu sua moglie che quando ci invitava cercava sempre di lasciarci qualche cosa, doni e ricordi che a noi giovani e poi meno giovani fecero molto piacere più di un ricoscimento economico". Dalla sua famiglia imparò ad apprezzare Carlo Mollino e i suoi mobili oltre che alle sue architetture. Fu così che negli anni Quaranta con Rossella Rossi, altra artista pura, Anna Razzini decise di avventurarsi in un legame che dura ancora oggi. Se l'una dipinge, l'altra lo fa anche lei, se una si occupa del disegno, l'altra delle stoffe, le fusioni in vetro dei gioielli sono condivise. In un mondo dove non manca la manualità non possono mancare quadri o sculture, molti cani e uccelli, che portano le firme della Maison. L'arredo è dell'epoca disegnato da grandi maestri. I cappelli sembrano sculture come le opere di Manzù che si trovano girando il grande spazio, nel quale non mancano mai anche libri. Qui si può bere un the e assaggiare dolcetti prelibati o prendere un aperitivo mentre si parla dell'oggi e di ieri con ironia, gioia, ammirazione per chi ha fatto grande ogni cosa che poteva rimanere piccola o inosservata. Umiltà, classe e saggezza fanno rima con "Marti ae Baghi". Chissà se i loro abiti entreranno nel Museo del Costume di via Sant'Andrea anche se loro non ne sentono la necessità. Eppure questa è stata ed è un angolo d'arte di Milano da scoprire. Dagli abiti, ai vasi, ai quadri ai motivi di ogni creazione che si trova in questa elegante ma rigorosa "bottega artigiana" molto simile a quelle inglesi, si comprende che tutto è frutto di un'inventiva pensata e giocata ad arte.
Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.