“Ei, cielo! Togliti il cappello, sto arrivando!”. Valentina Tereshkova, ventiseienne delle rive del Volga, il 16 giugno del 1963, è stretta dalle cinghie sul seggiolino unico della capsula Vostok 6. Sulla cima di un razzo alto 34 metri. Sono trascorsi 29 minuti da mezzodì, quando la procedura di lancio durata due ore giunge al termine, sprigionando nei quattro motori disposti a croce tutta la potenza necessaria per portarla in orbita su un famigerato vettore R-7 "Semyorka".
Lei fissa l’oblò con il grosso casco in testa con su scritto Cccp: da ex-dipendente dell'industria tessile con la passione del paracadutismo era diventata una cosmonauta dell’Unione Sovietica. Appena un’ora dopo sarebbe diventata la prima donna a volare nello spazio.
Una figlia del popolo che guardava al cielo
Orfana di padre, contadino e soldato dell’Armata Rossa caduto durante il secondo conflitto mondiale, era nata a Maslennikovo nel 1937. Dopo aver terminato gli studi a diciassette anni - iniziò a frequentare la scuola a dieci - fu impiegata prima come operaia in una fabbrica di pneumatici, poi come sarta per una fabbrica tessile locale: proprio come sua madre Elena.
La vita di una ragazza nata in un piccolo villaggio russo, mentre l’Occidente viveva il baby-boom, non prometteva grandi emozione ed esaltanti prospettive: un impiego sicuro nelle fabbriche che producevano in serie i beni destinati ai cittadini sovietici, una famiglia da costruire con un figlio del popolo come lei che potesse garantire altrettanta stabilità, della prole da allevare nello stesso modo per contribuire alla macchina sovietica e ricalcare come tanti prima di loro l’archetipo dei nuovi uomini e delle nuove donne sovietiche.
Qualcosa di ben diverso dal cittadino idealizzato da Trotsky: colui o colei che “realizzando l’obiettivo di dominare le emozioni, innalzeranno istinti fino alle altezze della coscienza, rendendoli trasparenti ed estendendo i fili del proprio volere nelle sue rientranze nascoste in modo da innalzare se stesso verso un nuovo livello, per creare un tipo sociale e biologico superiore, oppure, se permettete, un superuomo”. La fascinazione spesso prende il sopravvento sulla mente dell’essere umano che non si arrende al destino cui sembra essere costretto dai propri natali.
Valentina Tereshkova, ad esempio, mentre cuciva abiti per il popolo sovietico guardava alle nuvole e cercava un mezzo per toccarle: lancio con il paracadute. Il senso di libertà del cielo e l’adrenalina del salto, le diedero - di nascosto da sua madre - le emozioni che cercava. Così, mentre lavorava, e studiava per corrispondenza, seguiva il corso di paracadutismo che si teneva nell’aeroclub locale per ottenere il brevetto: un inaspettato passepartout per le stelle.
Perché dopo aver mandato il primo uomo nello spazio, ovviamente siamo parlando Jurij Gagarin, agli alti papaveri del Cremlino venne in mente di ottenere un secondo grande primato: mandare una donna nello spazio. E superare ancora una volta gli Stati Uniti nella corsa all’ultima frontiera, spaziale, tecnologica, e pure in qualche senso “ideologica”.
L’unico gap allora era quello della mancanza di una classe di allieve o piloti militari donna dove si potevano prelevare a addestrare delle future cosmonaute. Così si penso di andare a cercare le cadette anche tra coloro che erano solamente delle paracadutiste. Quando Mosca avviò le sue ricerche, Valentina Tereshkova non ci pensò due volte a farsi avanti nella speranza di essere Lei la prima donna che avrebbe conquistato lo spazio.
Unica tra tante
I requisiti per essere considerate imponevano di avere meno di trenta anni di età, un peso inferiore ai settanta chilogrammi e un’altezza che non superasse un metro e settanta centimetri. Le ragioni andavano trovate negli angusti spazi dell’abitacolo che ospitava il cosmonauta delle navicelle del Programma Vostok. E l’ovvia predisposizione - per età e addestramento - a sopportare le sollecitazioni nella fase iniziale e finale del volo nello spazio. La giovane Tereshkova possedeva tutto le caratteristiche e le qualità richieste, e venne inserita in nella rosa delle 400 candidate che erano state scelte su 1000 aspiranti che si erano proposte.
Rimase tra le 58 migliori, poi tra le 23, e poi, infine, nella ristrettissima cerchia delle 5 aspiranti cosmonaute che inquadrate nell’aeronautica con il grado di luogotenente, proseguirono a ritmi serrati un durissimo addestramento che includeva voli parabolici, prolungati test di isolamento, test nella camera termica e test in macchinari che simulavano la spinta centrifuga, test per la decompressione, oltre un centinaio di lanci con con il paracadute e l'addestramento di base per pilotare i jet moderni.
Con l’avvicinarsi della data fissata per la missione, ai vertici dei programma spaziale russo non restava altro che stabilire quale delle cadette sarebbe stata mandata in missione; e benché Valentina non risultasse la migliore nei risultati registrati nei diversi test, fu scelta per una singolarità che alla fine la rese l’unica tra tante: era una vera figlia del popolo.
Le sue origini operaie, la perdita del padre dipinto come uno dei tanti eroi sacrificatosi per la patria e per l’idea, perfino la provenienza dalla Russia profonda e anonima, e non da una grande centro, la rendevano perfetta ai fini della propagandistici su cui si basava l’intera missione. La Tereshkova si era inoltre dimostrata soggetto di spiccata intelligenza, capace di tenere discorsi in pubblico, dunque pronta a prestarsi alle numerose interviste che avrebbe dovuto raccontare il successo di quell’ennesimo traguardo tutto sovietico. Prima che traguardo da vedere al femminile.
Il complesso volo del gabbiano
“Qui Gabbiano. Va tutto bene. Vedo l’orizzonte, il cielo blu e una striscia scura. Com’è bella la Terra. Sta andando tutto bene”. Furono queste le prime parole della Tereshkova una volta lasciato il cosmodromo di Bajkonur e ripreso il contatto radio mentre era sulla traiettoria d'orbita terrestre con “un perigeo di 165 chilometri e un apogeo di 166 chilometri per inclinazione di 65 gradi”.
Il nome in codice scelto per Valentina era Čajka (gabbiano in russo, ndr) e, non appena raggiunse l’orbita potè confermare via radio comunicazioni con la base, a terra confermarono che la missione Vodstok 6, lanciata solo due giorni dopo a Vodstok 5, stava proseguendo con successo. Durante la prima orbita terrestre, Vostok 6 e Vostok 5 si avvicinarono come era stato previsto. Così il gabbiano potè incrociare la rotta orbitante di un altro cosmonauta sovietico: Valerij Fëdorovič Bykovskij.
Ma quel viaggio non fu semplice e privo di insidie. Un errore nella pianificazione della rotta aveva impostato un traiettoria che avrebbe spinto la navicella - priva di comandi e possibilità di correggere autonomamente la rotta - verso lo spazio profondo. Solo una correzione ai limiti del tempo utile mantenne Vodstok 6 in rotta, portando la missione a compimento in 70 ore e 50 minuti. Quasi tra giorni trascorsi tra lunghi momenti di silenzio radio e timore, in uno spazio claustrofobico, mentre la piccola capsula sferica compiva 48 orbite intorno alla pianeta.
Il ritorno di una stella
Il rientro della missione della prima donna nello spazio fu tutt’altro che semplice. A quel tempo infatti, la la tecnologia dei vettori per l’esplorazione spaziale non consentiva l’atterraggio degli space shuttle, ma un discesa infuocata nell’atmosfera terrestre, che avrebbe previsto l’apertura di quello stesso paracadute che aveva portato Valentina sulla rotta delle stelle.
Le forti raffiche di vento manifestatesi il 19 giugno nell’area dove era previsto il recupero della capsula di Vodstok 6 provocarono una serie di traumi al volto della cosmonauta, che venne ricoverata per una breve degenza prima tornare a indossare la sua tuta spaziale per simulare un atterraggio da manuale ed essere ripresa dai video di propaganda che avrebbero fatto il giro nel mondo. Se c’era veramente una “Miss Universo” nel 1963, ella era Valentina Tereshkova, avrebbero scritto i giornali.
Eroina del popolo sovietico, insignita dell’Ordine di Lenin e della medaglia di Eroe dell’Unione Sovietica, la nuova stella mondiale iniziò un lungo tour di presentazione e conferenze che avrebbero consacrato il suo primato leggendario - diventando, sembra quasi banale dirlo, un esempio per l’emancipazione femminile universale.
Essere una pioniera nello spazio non le risparmiò tuttavia quelle consuetudini molto terrestri che in ogni longitudine e latitudine davano il peso alle apparenze. Il Cremlino ritenne giusto che la sua eroina spaziale dovesse trovare marito, e che il giusto marito per una donna dello spazio doveva essere un uomo dello spazio. Valentina sposò dunque il cosmonauta Andriyan Nikolayev. Nonostante una figlia e un matrimonio da prima pagina, la coppia si separò nel 1982.
La Tereshkova provò in tutti i modi a tornare nello spazio dopo la missione Vodstok 6, ma la morte di Garagin - in circostante per altro mai del tutto chiare - indusse l'Unione Sovietica a tenere distante la pericolo la sua pioniera spaziale, che ottenne invece un dottorato in ingegneria aeronautica prima di diventare un membro della Duma e concentrarsi sull'impegno politico che perdura ancora adesso.
Riguardo al ruolo della donna nei programmi spaziali, una volta ebbe a dire: "Come un uccello non può volare con un'ala sola, il volo spaziale umano non può progredire senza la partecipazione attiva delle donne".
Questa rubrica ha battuto spesso su questo tasto e proseguirà nel farlo. Valentina Tereshkova oggi ha 85 anni: per parte sua, quando qualcuno le rivolge la domanda se tornerebbe nello spazio, pare ancora poter affermare d’essere pronta ad andare anche su Marte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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